Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Cagliari, “La Traviata” Il fascino di sempre

Fonte: La Nuova Sardegna
10 novembre 2014


Espressivo e gradevole l’Alfredo di Francesco Demuro
di Gabriele Balloi
 

CAGLIARI. “La Traviata”, o meglio, Violetta Valéry sopravvive a tutto. In fin dei conti cosa può davvero “traviarla”? Né gli amanti né l’ipocrisia borghese, né la tisi o il tempo la corrompono. La morte stessa non vi riesce se musica di Verdi e libretto di Piave ne fanno immortale, inossidabile eroina, che ad ogni reincarnazione scenica risorge, come fenice, a raccontar la propria storia.

Ed è incredibile come resista al tempo perfino la messinscena dei coniugi Karl-Ernst e Ursel Herrmann, ideata per la Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf e Duisburg, oggi acquistata in comproprietà dal Teatro Lirico di Cagliari che – con il tutto esaurito dell’altro ieri alla “prima”, ed in replica fino al 16 novembre – riporta l’allestimento in Italia, come quinto titolo della Stagione operistica e di balletto. Datata 1987, la regia degli Herrmann doveva risultare tanto coraggiosa e provocatoria all’epoca, quanto attuale e disincantata ai giorni nostri. Perché se, da una parte, ci si attiene alle indicazioni di Piave per connotare spazi e tempi d’ambientazione; dall’altra, non ci si risparmia a rappresentare modernamente il “demi-monde” ottocentesco, facendone specchio di quelle realtà, ancora oggi, tabù dei perbenisti. Soprattutto, la scena della festa a casa di Flora, spettacolo nello spettacolo, è quanto di più denso e cinematografico si potesse creare: mettendo assieme un carnevale da “Casanova” felliniano, ludici mascheramenti quasi alla Kubrik di “Eyes Wide Shut”, mescolati ad elementi “queer” e disinvolte promiscuità che paiono involontariamente anticipare lo “Shortbus” di John Cameron Mitchell. Oltre a ciò, va detto che l’intera “Traviata” degli Herrmann richiede a solisti e coro un movimento scenico piuttosto impegnativo.

La Violetta di Irina Lungu si ritrova, più volte, a cantare supina: su un tavolo, nella cabaletta finale del I° atto, cavandosela perfettamente nei passaggi d’agilità, nonostante a causa d’un piccolo inciampo, prima di salirvi in piedi, la tensione forse non le consente, sul finale, un mi bemolle sovracuto della stessa durata e fermezza di quello ascoltato mercoledì nella prova generale. Poco danno, perché supera senza problemi il lungo dialogo con Germont del II° atto (bellissime mezze voci in «Ah, dite alla giovine sì bella e pura»); nonché nel III° dove, nuovamente stesa sul letto o sul pavimento, intona uno struggente «Addio del passato» con encomiabile capacità d’emissione. Prima volta a Cagliari per un’opera, il tenore turritano Francesco Demuro è un Alfredo che bene incarna l’immagine dell’amante geloso e velleitario, magari non sempre irreprensibile nel proiettare la voce e negli appoggi, ma dotato d’un colore timbrico particolarmente espressivo e gradevole, molto apprezzabile ad esempio su «De’ miei bollenti spiriti».

Timbro plumbeo e granitico, nonché d’eccezionale risonanza il Germont di Vittorio Vitelli, con un ottimo «Di Provenza il mar, il suol». Risulta infine scrupolosa la direzione di Donato Renzetti, lucida ed elegante, estremamente calibrata sul canto, abile peraltro a recuperare alcuni piccoli anticipi o ritardi del coro, dovuti forse ai continui “spostamenti” in cui è impegnato.