Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Tra gli abusivi del parcheggio

Fonte: L'Unione Sarda
31 ottobre 2014


 


«Vuoi biglietto?», chiede mentre si avvicina a passo svelto alla portiera appena aperta. Poi si ferma accanto all'auto in attesa di una risposta. Intanto ha afferrato uno dei tanti tagliandi un po' stropicciati che conserva nella tasca dei pantaloni. Infila il braccio dentro l'abitacolo e poggia velocemente il ticket in bella vista sul cruscotto. Ma poiché scade dopo mezz'ora, quel tagliandino viene rifiutato. Così ne sceglie un altro: questa volta mostra prima data e ora - 30 ottobre, ore 12,54 - poi cerca di sostituirlo.
È alto, magro e indossa una maxi felpa nonostante i venticinque gradi il ragazzo di colore che sosta, assieme a una decina di connazionali, sotto la pensilina dell'autobus in viale Regina Elena. Richiama gli automobilisti al grido di: «Parcheggio?».
Il giovane incassa l'euro che gli viene consegnato per il tagliando, lo mette via e solleva con uno scatto una grande busta bianca in plastica, strapiena: «Compra qualcosa?» Mostra calzini, accendini, fazzoletti, aspetta qualche secondo - non tanto - poi si volta e attraversa di corsa. Ad attirare la sua attenzione è una signora alla guida di una Fiat 500 che cammina a passo d'uomo, forse in cerca di uno stallo libero.
È giorno di festa, San Saturnino, il patrono di Cagliari, ed è una bella giornata. In centro c'è tanta gente. Nelle vie dello shopping e nei pressi dei centri commerciali il viavai è continuo. A metà mattina i parcheggi del mercato di San Benedetto sono pieni. Le macchine in doppia e tripla fila che intralciano il passaggio non si contano. Il numero dei parcheggiatori abusivi è quadruplo rispetto a qualsiasi altro posto in città. Appena notano un'auto con la retromarcia in azione si lanciano fino al centro della carreggiata e agitano le braccia per richiamare gli automobilisti. Grazie agli abiti coloratissimi che indossano si fanno notare anche senza pettorina fluorescente. In sette, tutti sotto i 30 anni, jeans col cavallo basso e cappellino da rapper sulla testa, indicano lo stesso posto libero: «Ciao Rihanna», scherzano facendo il nome di una famosa cantante pop. «Vai, vai, avanti, ancora, brava», commentano ogni manovra. Una volta spento il motore, quello che sembra il più giovane, o forse è soltanto il più basso, si avvicina con un grosso borsone nero appresso. Ma prima di mostrare calzini, tovaglioli e fazzoletti, cerca di vendere il tagliando per il parcheggio che tiene in mano. Non ci riesce, così si allontana, rivolgendo qualche parola ai suoi amici. Scherzano, ridono, il clima è giocoso.
Diventano improvvisamente tutti seri quando, pochi istanti dopo, una manovra delicata è in corso: due uomini stanno aiutando un'anziana donna disabile a scendere dal posto passeggero di un pulmino. Devono farla accomodare su una carrozzina per poterla portare al mercato a fare la spesa. I parcheggiatori seguono le operazioni da vicino, sembrano molto attenti. Il traffico si blocca per qualche secondo. Sembra non gradirlo un cinquantenne alla guida: non riesce a passare. Agita le braccia, dice qualcosa. Sembra lamentarsi. Chi lo sa, forse ha fretta.
Poco più avanti, c'è un altro gruppetto di ragazzi. Anche loro sono più di cinque, e si occupano dei parcheggi di un'altra zona, quella davanti all'ingresso principale del mercato. Il copione è lo stesso, e anche il cappellino: si avvicinano alle auto, fanno la domanda di rito ("Quante ore?"), corrono a fare il tagliando e lo riportano all'automobilista.
In piazza Repubblica, poco dopo, lo scenario è ben diverso. I parcheggi sono quasi tutti liberi. È la festa del santo patrono e il Palazzo di giustizia è quasi vuoto rispetto al solito. Anche per i ragazzi extracomunitari - i parcheggiatori che tutti i giorni sostano davanti alle scalinate del Tribunale - c'è meno da fare. Aspettano le auto seduti su un muretto, al sole. «Ciao, buongiorno, come stai? quante ore? - chiede uno - Una? Due?» Poi appoggia il braccio sulla portiera aperta e osserva tutti i movimenti che avvengono all'interno dalla macchina. Nota il portafogli e le monete ma non chiede niente. Quando il suo biglietto non viene acquistato si allontana, saluta e ringrazia lo stesso. Cercano di rendersi utili. Quando possono, se notano un'auto a rischio multa, con un tagliando scaduto sul cruscotto, lo sostituiscono. Quando invece la multa ormai c'è già, indirizzano l'automobilista verso il vigil park più vicino: «Ecco è lì, guarda».
Cambia il giorno, cambia l'ora e anche lo scenario. Sono circa le 17 di un mercoledì lavorativo. Il parcheggio davanti al Tribunale è mezzo deserto. Un giovane di colore - con i capelli lunghi e raccolti - nota l'auto che sta per ripartire e si avvicina. Non tiene alcun ticket in mano e non vende niente. Niente pacchetto di fazzoletti, niente di niente. Ha il viso molto gonfio, arrossato e stanco. Non assomiglia per niente agli altri suoi “colleghi”, alti e magri, talvolta un po' insistenti ma nel complesso sempre solari ed educati. Il ragazzo si avvicina allo sportello aperto e chiede soldi biascicando: «Io mangiare, dai qualcosa». Lo ripete più volte, come una cantilena. Non conosce l'italiano. Non dice nulla di più. Nessuna minaccia. I soldi non gli vengono dati così resta lì, in piedi. Con una mano tiene lo sportello aperto, non permette che venga chiuso. Almeno, non senza il rischio che possa farsi male. Con il viso si avvicina ancora un po' al sedile del posto-guida. A quel punto gli viene detto: «Scusa, ho fretta, dovrei andare, per piacere mi fai chiudere lo sportello»? Non sembra prestarci molta attenzione. Sembra proprio assente. Passano circa due minuti, o forse tre. Alla fine desiste, non dice niente, si volta e con andatura lenta e gli occhi tristi se ne va.
Veronica Nedrini