IL PERSONAGGIO. La pianista che ha studiato alla scuola per bambini prodigio
A ll'inizio è gioco: un lieve tocco tra il bianco e nero dei tasti per scoprirne il suono. Poi musica: e le emozioni diventano colori. Quando una giovane vita incontra il pianoforte raramente lo lascia. Mentre lascia alla musica la propria impronta. Indelebile. Ogni volta unica. Anche per la pianista di origine armena Diana Gabrielyan è andata così. Intraprende gli studi musicali dall'età di cinque anni e sceglie lui, il pianoforte. Vincitrice di prestigiosi premi pianistici internazionali, tra cui il Gramsci di Cagliari, il Classica Nova di Hannover, il Ciutat de Carlet a Valencia, è stata ospite sabato scorso a Palazzo Siotto, a Cagliari, della rassegna internazionale “Le Salon de Musique - Corde sul mare”, organizzata dall'associazione musicale Suoni&Pause.
Il pianoforte, un “colpo di fulmine”?
«Ho respirato musica da sempre grazie a mia madre violinista. E scelto il pianoforte, attratta dal fascino di quel grande “giocattolo” che vedevo in casa».
Se non fosse stato il pianoforte?
«Credo, il violino. Se il pianoforte è il re degli strumenti, il violino è certamente il principe».
La vita senza musica?
«Non sarebbe vita. Come disse Nietzsche, sarebbe un errore».
Ha iniziato gli studi musicali in Armenia e proseguito in Italia...
«Ho iniziato frequentando la scuola musicale speciale per bambini prodigio Tchaikovsky a Yerevan e a 12 anni mi sono trasferita in Italia per studiare a Roma al Conservatorio di Santa Cecilia».
Approcci diversi?
«Sì, ma dipendono sostanzialmente dal maestro. Io mi sono formata secondo la tradizione della scuola armena/russa».
Caratteristiche?
«Una concezione della musica più naturale possibile. La priorità del canto e della melodia. Una tecnica rigorosa unita a grande ricchezza timbrica e di colori. L'importanza del peso e del tocco per dare al suono maggiore profondità».
Tra i mostri sacri della storia del pianoforte, i più amati?
«Richter, Horowitz e Benedetti Michelangeli. Per la loro capacità interpretativa oltre che per la tecnica. Capacità di far rivivere l'autore attraverso di loro».
Il segreto per emozionare?
«È l'amore con cui si suona».
Luisa Sclocchis