LA CITTÀ NASCOSTA. Una stele nell'Orto botanico ricorda i nomi dei congiurati del 1812
Nell'area di Palabanda l'ultimo squillo dei moti rivoluzionari
La porta è un invito. Basta varcarla e sembra di fare un passo indietro di due secoli. Duecentodue anni, per la precisione, la distanza che separa dai fatti evocati dall'antico passaggio che collega il corso Vittorio Emanuele con via Palabanda. La porta (di Palabanda) è un testimone muto ma vigile. Sembra rimasta lì ad ammonire e a ricordare. Nessuno, più di lei, ha visto volti e scene, sentito voci e urla dei protagonisti della rivolta fallita nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 1812. L'episodio - ultimo squillo dei moti rivoluzionari sardi iniziati vent'anni prima e soffocati nel sangue dai Savoia - è stato ricordato in seminari e convegni, libri e opere teatrali. In occasione del bicentenario della “congiura”, per stare a una data che ha registrato diversi interventi rievocativi, hanno dato importanti contributi alla ricostruzione di quella rivolta studiosi come Francesco Cocco, poi Paola Alcioni e Piero Marcialis (con testi che hanno ripercorso su famini de s'annu doxi e la congiura), le attrici Clara Murtas e Rita Atzeri, protagoniste in un liceo di piéce e letture. Nella sala settecentesca della Biblioteca universitaria un convegno servì ad approfondire quelle pagine di storia con l'intervento di Vittoria Del Piano. La stessa Rita Atzeri e altri attori hanno interpretato l'anno scorso un testo teatrale dello storico e scrittore Luciano Marroccu. In occasione del bicentenario fu anche coperta con un telo bianco la statua di Carlo Felice in piazza Yenne. Una provocazione. Ma non solo. Fu, quel gesto, soprattutto un invito a cambiare i simboli della Sardegna. «Non più monumenti dedicati ai sopraffattori dei sardi», si disse e si scrisse in quei giorni, «ma scuole, strade e piazze intitolati alle grandi personalità che hanno lottato e sono morti per la libertà dei sardi e della Sardegna».
Nel 1992, in una piazzetta dell'Orto botanico - il luogo dove la rivolta fu pensata e organizzata dall'avvocato Salvatore Cadeddu e dai suoi amici giacobini - il Rotary Club Cagliari ha dedicato a quei fatti una stele, con incise queste parole, sintesi mirabile di quella pagina di storia: «Nell'anno 1812 in questa località detta di Palabanda uomini di cultura e popolani congiuravano contro il potere piemontese per una migliore giustizia e per riguadagnare diritti perduti. Delazioni e sfortuna fecero fallire la sommossa preparata per il 30 ottobre. Morirono sulla forca: salvatore Cadeddu, Raimondo Sorgia, Giovanni Putzolo. Condannati a morte per contumacia Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau, Ignazio Fanni. All'ergastolo: Giovanni Cadeddu, Antonio Massa. Al remo a vita: Giacomo Floris, Pasquale Fanni. Banditi dall'isola o esiliati all'interno gli altri imputati. Onore e memoria eterna a questi cittadini che hanno sacrificato la loro vita per difendere la dignità dei sardi». Due anni dopo sulla vicenda Maria Pes ha pubblicato lo studio “La rivolta tradita. La congiura di Palabanda e i Savoia in Sardegna” (Cuec, 1994).
Quel che ancora oggi la porta di Palabanda sembra dire ai passanti che l'attraversano è di non dimenticare il sacrificio di quelle vittime. Il 1812 fu anno terribile, preceduto da stagioni di siccità che pregiudicarono i raccolti. Quell'anno, in particolare, un'epidemia di vaiolo accrebbe ancora di più le afflizioni dei sardi. Anche Cagliari, dove alla corte di Carlo Felice s'era aggiunta anche quella del re Vittorio Emanuele I in fuga dal Piemonte occupato dalle truppe napoleoniche, pagò un conto molto salato. Non soltanto tasse per mantenere le corti sabaude ma anche vittime per il vaiolo e sofferenze per le ristrettezze causate dalla carestia. In questo clima nacque l'idea di una congiura (poi fallita) contro cortigiani e funzionari al servizio di Vittorio Emanuele I. La porta sta ancora lì a ricordarcelo.
Pietro Picciau