Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Siamo già una capitale»

Fonte: L'Unione Sarda
20 ottobre 2014

Il direttore del progetto 2019 fa autocritica: «Ma serviva più tempo»

Mancini: premiato un borgo, noi città più aperta  

Sorride. «Perché in fondo abbiamo vinto lo stesso». Ma a Massimo Mancini, 47 anni, direttore artistico di Cagliari capitale della Cultura 2019, resta l'amaro in bocca. «Avevamo le carte in regola per farcela, ma evidentemente doveva andare così: siamo come la Roma di Garcia, che l'anno scorso è arrivata seconda a 85 punti».
Sicuro che Cagliari sia arrivata seconda?
«Non si saprà mai. O meglio, lo sanno solo i giurati. In ogni caso ora conta poco».
Che cosa non ha funzionato?
«Ha funzionato tutto».
Ma il risultato non è arrivato.
«Con questa commissione non c'era partita».
Perché?
«Ha vinto Matera, che presentava un progetto del tutto diverso dal nostro. Matera è borgo, dà più idea d'Italia. Resta impressa, soprattutto agli occhi di una commissione non italiana».
E Cagliari?
«Cagliari è una capitale di suo. Una capitale Mediterranea moderna. È un po' Spagna, un po' Italia, un po' Africa. Cagliari è un intreccio di pezzi di Europa e di mondo. È una città policentrica».
Ma non sarà Capitale della Cultura.
«Però potrà avere gli stessi benefici se non disperderà il patrimonio di idee e di progetto costruito in questi mesi. Parlo della rete che si è creata nel territorio per fare impresa culturale».
In soldoni?
«Ora la città deve essere matura: governance, università, media, aziende, imprese culturali e cittadini devono continuare a dialogare. Paradossalmente i benefici potrebbero anche essere maggiori. Certo che se fosse arrivato il titolo, se avessimo avuto più tempo per coinvolgere ancora più gente...».
Fa autocritica?
«Se autocritica è non essere riusciti a creare del tutto l'effetto valanga per quanto riguarda il coinvolgimento, la faccio. Ma solo per questo. Se ci avesse battuto una città di mare, che so, Taranto, se fosse arrivata in finale, avrei avuto qualche perplessità sulla nostra debolezza progettuale. Ma ci ha battuto Matera con un progetto del tutto diverso: come il rosso rispetto all'azzurro».
Ci sarà stato un limite.
«Abbiamo lavorato dalle 6 alle 23 ogni giorno, personalmente ho perso 7 chili».
Poca comunicazione?
«La scelta è stata quella di comunicare attraverso i contenuti: abbiamo vinto la preselezione nel 2013 e la cosa destò scalpore. Matera e altre città hanno lavorato al progetto dal 2007».
Eppure sul coinvolgimento non vi hanno contestato nulla.
«Se è per questo tutti i nostri parametri erano alti, penso alla capacità di accoglienza e di ripensare progettualmente i difetti urbanistici».
Un esempio?
«Il recupero dei palazzoni di Sant'Elia o gli aspetti negativi del Poetto: il brutto non va negato. Bisogna alzare il livello della cura».
Qual è il lascito di questa esperienza?
«È nata una rete, che ha creato una competenza. Prima solo l'Università era in grado di recuperare fondi europei per la cultura e la ricerca, ora sarà più facile ottenerli attraverso le partnership che si sono create. Sul fronte dei fondi nazionali, già quest'anno Cagliari e la Sardegna hanno avuto più soldi dal Fus, il fondo unico per lo spettacolo».
Parte dell'opposizione critica il vostro progetto.
«Rientra nel conflitto politico, ci sta il giorno dopo. Ma ripeto, siamo come la Roma: in Champions».
Ora lei che cosa farà?
«Ho un contratto fino a dicembre: 45 mila euro lordi per otto mesi. Il lavoro di tutto lo staff sarà costato al massimo 250 mila euro in tre anni, escludendo gli eventi organizzati dal Banco di Sardegna».
Quindi andrà via?
«Non dipende da me. Sono un tecnico».
Lorenzo Piras
@lorenzopiras71