Un botto, una fiammata di eventi, attenzione mediatica, turisti: per una città, ottenere il titolo di Capitale europea della cultura è un'opportunità notevole. Il problema è far durare le ricadute positive: dipende molto da come ci si organizza. L'assessore Enrica Puggioni non ha dubbi: «Stiamo lavorando su un orizzonte di più anni: il nostro programma va dal 2015 al 2022, non intendiamo bruciare tutto nel 2019. Se vincessimo, non vorremmo svegliarci nel 2020 in una Cagliari deserta dopo i fuochi d'artificio».
In tutte le città diventate Capitali si è notata una grande iniezione di vivacità nei sistemi culturali locali e un fiorire di piani per attività culturali future. Gli operatori culturali (soprattutto quelli più robusti e strutturati) hanno fatto un salto di qualità: hanno costruito reti di relazioni e alleanze, acquisito professionalità nuove e capacità di fare progetti e accedere a finanziamenti, migliorato il loro approccio manageriale. In alcuni casi (per esempio a Lilla, a Bergen, a Copenhagen) eventi nati durante l'anno da Capitale sono diventati fissi: festival, stagioni culturali, rassegne d'arte contemporanea. Altre volte, dopo la fiammata, si è spento tutto: gli operatori si sono incagliati di fronte alla difficoltà a ottenere finanziamenti.
Vincere, insomma, potrebbe non essere sufficiente. (m. n.)