Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Mouse On Mars Ritmi elettronici e sogni anarchici

Fonte: L'Unione Sarda
6 ottobre 2014


Il Festival “Karel Music Expo”, ultimo atto a Cagliari 

 


I tedeschi Mouse On Mars, formazione tra le più influenti della scena elettronica europea, rappresentavano la ciliegina sulla torta dell'ottava edizione del Karel Music Expo, che si è concluso sabato a Cagliari. Ma le cose, purtroppo, non sono andate secondo i programmi: un temporale scoppiato nel pomeriggio, ha guastato la festa, rendendo inagibile il Teatro Civico di Castello, sede dei concerti più importanti.
Un vero peccato, visto che i nomi in cartellone (la cantante portoghese Rita Redshoes, il cantautore tedesco Damen Samuel e altri ancora), annunciavano una serata di buona musica.
Su tutti, spiccava quello dei Mouse On Mars, di Dusseldorf, come i gloriosi e irraggiungibili Kraftwerk. Li abbiamo incontrati, nonostante la pioggia.
«Può sembrare strano, ma quando abbiamo iniziato a fare musica, non sapevamo chi fossero», dicono al riguardo Andi Toma e Jan St. Werner. « Eravamo immersi nei campionamenti e nelle tendenze più sperimentali ed estreme. Quando la gente ha iniziato a paragonarci a loro, ci siamo incuriositi. Hanno fatto dischi meravigliosi, anche se non ci hanno mai influenzato direttamente. Crediamo che i Kraftwerk possano influenzarti anche se non li conosci. In qualche modo, l'influenza arriva attraverso altre cose che hai sentito».
La musica elettronica invecchia più velocemente di quella prodotta da strumenti tradizionali: per questo ha bisogno di rinnovarsi continuamente?
«Non siamo sicuri di vederla in questa maniera. Circa il modo in cui produciamo musica, pensiamo in modo abbastanza “classico”. Certa musica definita senza tempo, magari non è un granché. La musica non è senza tempo perché è “buona”, lo è perché è qualcosa su cui si crea un'intesa comune. Quando l'ascolti, senti esattamente l'influenza e il contesto culturale e sociale del momento in cui è stata prodotta. Come quella degli anni Ottanta può riflettere l'influsso della guerra fredda, quella dei Settanta porta con sé il cliché di una generazione ribelle».
Che futuro immaginate per la musica? Non temete che l'uso sempre più diffuso delle macchine possa trasformarla in un'arte senza volto?
«Se la musica non avesse un volto, sarebbe fantastico, così le persone potrebbero davvero crearne una propria. Se senti un brano di un grande artista pop, è solo una faccia. C'è competenza musicale, ma devi andare nel profondo per trovare in questo una musicalità. L'immagine conta troppo, ed è dominante. Nella nostra musica si trova un contesto un po' più “anarchico” in questo senso, ed è meglio, perché è aperto e la gente deve ritrovare se stessa nella musica, ed esplorarla. È come un paesaggio in cui trovi la tua strada».
Cos'è un remix: un atto di sovversione/innovazione, o un modo facile per far soldi?
«In verità, i remix sono pagati molto male. O noi non siamo pagati bene per i remix. Non si guadagna in maniera adeguata, e c'è molto lavoro rispetto al crearne uno nuovo. Ad ogni modo, non li amiamo in maniera particolare».
Carlo Argiolas