Due mesi di agonia per il porto canale
La Camera di commercio consulta gli esperti e le previsioni sono nere
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CAGLIARI. Alla canna del gas il porto canale c’è arrivato a fine aprile. È stato quando la Maersk, l’unico suo cliente, ha dirottato altrove i container e lasciato in braghe di tela la Ccit, la concessionaria delle banchine. Il risultato è stato devastante: il traffico già basso nel primo trimestre di quest’anno, s’è azzerato. Da giorni neanche una nave ormeggiata, neppure un Teu impilato, ed è stata inevitabile la mazzata, leggi cassa integrazione, per gli operai. L’agonia è cominciata, a giugno l’orazione funebre?
Più di un’avvisaglia che le prossime settimane saranno tremende, s’è capito - anche se lo sanno tutti da tempo - ieri durante la sesta Giornata dell’economia, organizzata dalla Camera di commercio. Dopo aver presentato lo stato della provincia, è discreto non certo eccezionale, il presidente Giancarlo Deidda ha detto: «Da adesso in poi parleremo solo e soltanto di porto canale». Di un porto in crisi, dove da una parte e dall’altra non sanno davvero cosa fare per salvarlo. La diagnosi è spietata: se entro giugno al posto della multinazionale danese Maersk non arriverà un nuovo cliente (la francese Mca?), c’è il rischio di dover sbaraccare. Il presidente del Casic e della Provincia, Graziano Milia, lo ha detto: «In questi giorni, il consiglio d’amministrazione dovrà valutare se deve investire nelle manutenzioni delle gru o non sia più conveniente venderle». Provocazione forte, non c’è dubbio, ma chiarissima nei contenuti: se la politica non farà i suoi passi - e ieri la Regione non era presente - il porto di Macchiareddu ha la sorte segnata. Provocazione per provocazione è stata ancora più scioccante quella proposta da Massimo Deiana, preside di Giurisprudenza: «Se presto non riavremo un ruolo per rientrare nel mercato, mettiamoci l’anima in pace: il porto canale diventerà un aquafan». Al di là della battuta amara, il rischio c’è e sarebbe una fine ingloriosa per questa grande opera, che s’è ingoiata milioni e milioni di soldi pubblici e altri sessanta sono in arrivo stando al piano di investimenti presentato dallo Stato e dal gruppo Contship, socio di maggioranza della Cict. Certo, i finanziamenti entro il 2011 potrebbero migliorare la qualità delle infrastrutture, già buone dicono gli esperti, ma da soli non basterebbero a dare l’atteso scossone. Lo ha detto Alessandro Olivo, docente di tecnica ed economia dei trasporti e primo firmatario dello studio “Sviluppo portuale cagliaritano”, commissionato un anno e mezzo fa dalla Camera di commercio al Centro interuniversitario Cagliari-Sassari, studio oggi diventato di stringente attualità nelle conclusioni. Secondo Alessandro Olivo, il porto canale paga dall’inizio dell’anno tutto quello che da tempo subiscono anche Gioia Tauro (molto) e Genova (meno): «Questi scali, Macchiareddu compreso, sono rimasti fuori dalle grandi rotte internazionali, dagli affari delle otto compagnie che su 450 fanno il mercato mondiale e tutto questo nonostante i traffici siano destinati ad aumentare in Europa del novanta per cento e del 132 nel resto del mondo da oggi al 2015. Non c’è stata nessuna reazione e se da sempre siamo stati alle spalle dei grandi porti del Nord Europa, in testa i tedeschi, abbiamo subito in silenzio anche il sorpasso della Spagna, che sul settore ha investito ben tre milioni di euro nell’ultimo triennio». L’Italia ha speso molto meno e fatto anche peggio: «Tra i porti italiani s’è scatenata un’assurda guerra fratricida e non per la torta: hanno litigato e litigano ancora per gli avanzi degli altri», ha detto il relatore. Gli effetti della faida economica dal forte retrogusto campanilistico sono spiegati bene in una tabella: Gioia Tauro è stato travolto da un preoccupante meno sette per cento nel traffico Teu in soli dodici mesi, Genova non è andata oltre un risicato più due e Cagliari è scivolata al ventiduesimo posto tra i porti europei, superata da Taranto e destinata a scendere ancora più basso dopo lo sconvolgente -80 per cento da gennaio ad aprile. Perché il disastro? Ancora dalla relazione di Alessandro Olivo: «Non siamo riusciti a fare sistema neanche nella logistica, in più da noi sono aumentati i costi, s’è esagerato nella frammentazione degli scali e, allo stesso tempo, abbiano assistito impassibili al fallimento degli interporti». Con le gambe già fragili, il porto canale di Macchiareddu è crollato appena il suo unico cliente - la Maersk - è andato via. Come rimediare? Prima di tutto bisogna trovare un nuovo partner. In un recente comunicato, la Cict s’è detta fiduciosa anche se c’è il rischio che una futura gara internazionale finisca deserta e il disinteresse delle compagnie varrebbe come il marchio ufficiale della sconfitta. Subito dopo Macchiareddu dovrà cercare sinergie con il territorio per ripresentarsi sul mercato con la certezza di rappresentare la Sardegna ed essere una “sola piattaforma logistica”. Infine, bisogna far sì che i container (se arriveranno) non finiscano in parcheggio ma siano aperti. Cioè: non basterà più il transhipment - trasbordare i Teu dalle grandi alle medie navi container - ma bisognerà lavorare, assemblare le merci in un’area dietro le banchine che gli esperti chiamano distripark. «È necessario avere la free-zone portuale prima del 2010, anno del libero scambio nel Mediterraneo», ha detto Salvatore Plaisant portavoce delle aziende di spedizione. Giusto, ha detto Alessandro Olivo ma a dare lo scossone dev’essere la politica. Subito, entro giugno. (ua)