Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Una mamma ricamatrice e il dono di raccontar storie»

Fonte: L'Unione Sarda
2 ottobre 2014

Tuttestorie Fabrizio Silei, premio Andersen 2014, oggi a Cagliari per la IX rassegna

 

I suoi libri dell'adolescenza sono stati quelli portati a casa dal fratello maggiore, nove anni più grande di lui. «Era quello che si leggeva negli anni '70, l'antologia di Spoon River, Bertolt Brecht, tutto Hermann Hesse e persino un incomprensibile “Porci con le ali”». Così, Fabrizio Silei, scrittore, premio Andersen 2014, ospite di Tuttestorie, ha rinviato la sua formazione all'età di 15 anni: «Ho letto “L'Isola del Tesoro” di Stevenson ed è stata per me la più grande lezione. In quel libro c'è qualcosa di straordinario. Long John Silver, il cuoco di bordo dell'Hispaniola, è l'antagonista di Jim, ma è anche il suo padre putativo. È leggendo quel libro che ho imparato che il cattivo non è mai cattivo fino in fondo».
Tra questi due estremi mondi di carta, c'è la voce della mamma Angiolina, «una Orson Welles domestica», grandissima raccontatrice di storie. «In casa non c'era la tv, perché non ce la potevamo permettere e le sere d'inverno dei miei quattro anni chiedevo alla mamma raccontami una storia ».
Che storie erano?
«Raccontava di tutto, molte fiabe toscane, favole di cui dimenticava il finale e non c'era mai la catarsi naturale. Raccontava le sue storie di bambina, vissute durante la guerra, nelle quali i tedeschi sono terribili ma anche generosi. Una volta un tedesco entrò in casa della nonna, dove già era stato razziato tutto e pretendeva, mitra spianato, di avere dello speck . Nessuno capiva, poi la nonna suggerì di prendere dalla sua camera la specchiera del comò, che lui ruppe in testa alla mamma. Alla nonna andò il sangue in acqua per lo spavento . A me piace immaginare che lui si sia guardato allo specchio...C'era anche un medico tedesco buono che salvò mio zio, dandogli una medicina che in Italia non c'era».
Nasce allora il suo desiderio di essere uno scrittore, ma anche un “ricercatore di storie”?
«All'università ho incontrato Antonio Forconi, che mi ha raccontato la sua storia di internato militare. Così ho imparato ad ascoltare altre storie, quelle di uomini che hanno vissuto la prigionia dopo l'8 settembre. Ho smesso di fare il sociologo e pontificare e ho iniziato a cercare persone che mi raccontassero questa esperienza».
Nei suoi libri si parla di guerra, ingiustizia, razzismo, dolore, paura. Nei libri per ragazzi ci vuole sempre un po' di verità?
«Non scrivo storie per ragazzi, ma di ragazzi. Anzi scrivo storie che sono sia per giovani che per adulti. “Prima che venga il giorno” (un romanzo in cui si ricostruisce una dolorosa vicenda che ha le radici negli anni dell'occupazione tedesca ma si proietta negli anni successivi, ndr) è un libro per tutti. I romanzi di Calvino vengono letti nelle scuole perché aiutano a capire un periodo storico».
Qual è il ruolo dello scrittore?
«Scrivi una storia nella speranza che questa possa dare un'opportunità a chi la legge. Scrivi, ma è solo un'illusione, che il libro possa essere qualcosa di importante per capire gli uomini, il mondo».
Se entriamo nel suo atelier l'Ornitorinco che cosa troviamo?
«Questa».
Silei mostra prima un piccola trottola che fa roteare sul palmo della mano, poi un'altra.
«Io credo che la storia debba diventare un gioco e il bambino un narratore. Penso a Munari, Rodari. Quando mia madre era sfinita mi diceva “continua tu”. Questo è il più grande dono femminile perché aiuta a far germinare l'intelligenza narrativa. I libri sono preziosi quando fanno giocare il bambino a raccontare».
Tra i suoi fumetti preferiti c'è Alan Ford.
«Ho a lungo sognato di far parte del club e di avere gli adesivi, ma non me lo potevo permettere. Penso che Magnus sia il più grande disegnatore italiano e geniale l'idea di questo gruppo di agenti segreti poveri».
Un sogno per i bimbi di oggi?
«Un'editoria che racconti storie di qualità: basta con Peppa Pig, e una scuola con meno banchi dove ci sia più libertà e dove si torni a leggere i grandi che ci hanno portato agli apici: Lodi, Munari, Rodari».
Caterina Pinna