Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Tuttestorie Marino Sinibaldi apre oggi il festival «Se la vita cambia di un soffio»

Fonte: L'Unione Sarda
1 ottobre 2014

 

S e esistesse in natura una simile forma, sarebbe un libro-orale, nel quale si leggono le voci familiari (per chi ascolta e ama la radio) di Marino Sinibaldi, oggi direttore di Radio 3, per lungo tempo anima di Fahrenheit, “la trasmissione fatta coi libri”, e del giornalista radiofonico Giorgio Zanchini. «Invece è un non-libro», precisa Sinibaldi, confermando la sua passione assoluta per l'oralità «più adatta ai tempi, più mobile, più veloce». Ma “Un millimetro in là. Intervista sulla cultura” è indubbiamente un libricino che profuma di carta, e che si interroga, con umiltà, sugli infiniti orizzonti digitali, i linguaggi del web, il potere e la democrazia. Un centinaio di pagine conversevoli e dense su chi fa cultura, su come la si fa, sulle “cose belle e intelligenti”, su come è cambiato l'approccio nel mondo della Rete. Il messaggio è chiaro: nessuna nostalgia del passato, non siamo l'ultima generazione acculturata, nessuna demonizzazione del presente.
«Volevamo capire - spiega - come ci ridefiniamo noi, in questa nuova dimensione, come cambia la circolazione delle informazioni culturali. Siamo la generazione che ha scritto a macchina, che aveva solo libri e giornali e che sa bene quanto fosse difficile farsi una cultura musicale, costretti come eravamo a registrare con una cassetta dalla radio. Ora abbiamo la fortuna, e lo dico in senso positivo, di vivere la trasformazione, di passare da un'epoca all'altra cogliendo le opportunità dei cambiamenti».
Questo significa che la rete è uno strumento di emancipazione?
«Preferisco guardare di più alle potenzialità che la Rete mi offre. C'è una nuova dimensione del sapere, orizzontale , più largo . Abbiamo forme di comunicazione che non avremmo immaginato. Vedo una grandissima libertà e alcuni pericoli. Io so che cosa può fare l'individuo, non so che cosa saprà fare la politica per evitare che i giganti del web come Amazon o Apple, possano chiudere questi spazi, limitando la nostra libertà. In un suo saggio, l'economista Jeremy Riftkin sostiene che in questo sistema ci sono già delle inclusion , delle chiusure. E visto che siamo in Sardegna mi viene alla mente la Legge delle Chiudende: la libertà che esiste anche in Rete potrebbe avere i muretti a secco costruiti dai giganti del web. Ora la merce del Web siamo diventati noi».
È più facile, per tutti, avere informazioni. Ma meno profonde, più sfuggenti. Banalmente: qual è l'ultimo numero di telefono mandato a memoria?
«Guardiamola così: di sicuro nella mia testa se non c'è un numero nuovo c'è uno spazio libero. Come lo occupo? Che ci facciamo? Più veloce non necessariamente è più superficiale. Di sicuro in ogni cambiamento generazionale si perde e si acquista qualcosa: lo abbiamo sentito prima dai nonni, poi dai genitori e ora tocca a noi. È come se la Rete mi offrisse la possibilità di riempire con creatività, lavoro, felicità. Rifkin sostiene che la fine del lavoro ci avrebbe liberato. Il lavoro lo abbiamo perso e non abbiamo né libertà, né tempo…».
Proviamo a immaginare uno scaffale oggi…
«Nel nostro c'erano libri, ci stavano gli Lp, e c'era un'enciclopedia. Oggi tutto questo scompare. L'unica cosa che cresce nelle nostre case è lo schermo dei televisori, lunghi un metro. Contro la banalità c'è la lotta di ognuno di noi per sapere, essere informato, comprendere. Abbiamo altre opportunità. La mia inclinazione progressista mi spinge a dire che dietro a questa trasformazione c'è una diffusione di libertà e crescita. Ci vuole però responsabilità individuale per affrontare questo vertiginoso cambio. Gli ignoranti di ieri non avevano colpa, se oggi si è ignoranti si è colpevoli».
I ragazzi dicono: “non ce l'ho sullo schermo”, cioè non è nel mio orizzonte digitale. Lo schermo di tablet è la finestra sul mondo?
«Magari quel che non ho sullo schermo, ce l'ho altrove. Perché riempire tutto? La felicità è altrove, come le emozioni, il contatto con le persone. Anche i libri di carta sono altrove. Tutto può convivere: parole lette, sentite, dette».
La Rete però ci toglie l'immaginazione e l'immedesimazione che solo un libro ci può dare.
«È così. Leggo un libro, mi concentro in solitudine, immagino, mi immedesimo, processi formativi importanti. Leggere per noi era una necessità vitale, mentre oggi il libro per i giovani ha perso appeal. Inevitabilmente delle cose si perdono».
La Rete non ha bisogno di medium. Lo saremo tutti?
«Si torna alla responsabilità. Io sono cresciuto in una casa dove non c'erano libri e da ragazzino ho fatto mille letture senza “mediatori”».
La radio il 6 ottobre compie 90 anni. Come ha fatto a restare così giovane?
«Perché da “sorella minore” della tv, destinata a essere schiacciata, ha saputo trasformarsi, cambiare profondamente, restando se stessa. È diventata più leggera, meno autoritaria, ha saputo entrare negli spazi interstiziali della vita. La radio è annidata nel pc, nel cellulare, ha moltiplicato le sue funzioni offrendo musica, informazioni e conquistando consumatori pluralisti. I giovani la spacchettano, c'è invece chi la ascolta in sottofondo. C'è l'ascolto tradizionale e quello in streaming. I 90 anni sono il primo anno del nuovo secolo. È insinuante, è umile, si smaterializza. Offre belle opportunità».
A Cagliari per Tuttestorie, letteratura per ragazzi.
«È un festival che dà un bell'esempio di quello che si può fare: creare un universo narrativo in cui far venire la fame di libri. Una narrazione continua. È intelligente, anche se io finisco sempre al Babbo parking».
Caterina Pinna