Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Tfr anticipato, è caos totale

Fonte: L'Unione Sarda
1 ottobre 2014

LA DISPUTA. Numerosi interrogativi sulla tassazione e l'efficacia della proposta

L'accusa: Renzi cerca voti. La Cisl: scelta volontaria Diktat del premier con avallo di un paio di ministri: Pier Carlo Padoan, economia, e Giuliano Poletti, welfare. Mazzata per le imprese, dubbi sulla tassazione, inganno per i lavoratori, libera scelta degli stessi. Questa storia di mezzo Tfr (trattamento di fine rapporto) in busta paga a partire da gennaio 2015, escogitata da Matteo Renzi che l'ha addirittura inserita nel documento finale della direzione (a maggioranza bulgara) del Pd dopo averla anticipata a Fabio Fazio domenica sera, sta facendo arrabattare un po' tutti. Il dibattito, serrato quanto ricco di tante sfaccettature, non sta chiarendo i dubbi e le perplessità che si levano da ogni parte. Era già accaduto quando furono annunciati, sempre da parte del capo del governo, i famosi 80 euro, il cui effetto benefico sui consumi non c'è mai stato o comunque è stato inferiore alle aspettative.
L'ECONOMISTA «Di primo acchito - commenta Beniamino Moro, dell'università di Cagliari -, la cosa mi puzza non poco. Anzi, mi sembra un'autentica porcheria. La proposta di Matteo Renzi, per quanto ne ho potuto apprendere dalla lettura dei giornali, non ha alcun fondamento economico. Si tratta invece di una manovra propagandistica, che serve a rastrellare voti: eh già, perché Matteo Renzi, il furbissimo Matteo Renzi, in cuor suo è convinto che gli italiani saranno chiamati alle urne nella prossima primavera, contrariamente a quello che lui ripete sulla scadenza naturale della legislatura. Il premier sa che il suo partito non raggiungerà il 41 per cento, e dunque ha bisogno di consensi».
Il professor Moro dunque boccia senza mezze misure l'ipotesi del Tfr anticipato, legandola agli 80 euro «che si sono persi nel mare magnum del Pil nazionale: a fronte di 1200 miliardi di incidenza dei consumi nel Prodotto interno lordo, gli 80 euro sono costati 10 miliardi: un'inezia. Se gli 80 euro o la metà del Tfr fossero un aumento stabile e duraturo, beh, avrebbero una conseguenza sul tenore di vita dei beneficiati, ma in questo caso la provvisorietà dell'erogazione di denaro ha un'utilità quasi nulla».
LA TASSAZIONE Uno degli aspetti ancora oscuri riguarda il regìme fiscale. Rispetto a uno stipendio “normale”, tassato direttamente alla fonte come indicato in busta paga, il trattamento di fine rapporto è soggetto a una tassazione separata. La domande dei tecnici sono numerose: intanto, quale sarà l'aliquota di riferimento? Renzi ha parlato di una quota mensile (è stato calcolato che su uno stipendio di 1500 euro, l'ìncremento per il lavoratore dipendente sarebbe di 55 euro) da inserire per un anno (da estendere a tre), altri obiettano che bisognerebbe versare la somma tutta insieme. «Renzi - argomenta ancora Beniamino Moro - vuole scassare un meccanismo storico come quello del Tfr ignorando altri due aspetti: le pensioni dei lavoratori dipendenti, alla fine, saranno molto più magre; eppoi le imprese, che non vivono un momento florido, sarebbero penalizzate per la ridotta liquidità». Secondo il docente universitario, infine, «non bisogna farsi incantare dall'assicurazione di Renzi sull'applicazione di nuove tasse. Sono sicuro che il premier, per trovare le risorse, procederà a una tassazione secondaria e dunque gli effetti di questa sua nuova sortita non si vedranno proprio».
IL SINDACATO È normale che il dibattito sul Tfr, al pari dell'abolizione dell'articolo 18, coinvolga il sindacato. «Non dobbiamo commettere l'errore - attacca Oriana Putzolu, numero 1 della Cisl - di rimanere imbrigliati nell'ideologia. Il mondo del lavoro sta vivendo un momento assai delicato e tutto va affrontato e discusso con discernimento». Per la sindacalista, l'idea di Matteo Renzi «ha un vantaggio e un limite al tempo stesso. Il vantaggio è che il lavoratore dipendente si ritrova in busta paga qualcosa in più, e dunque può contribuire all'aumento dei consumi, un po' com'è accaduto per gli ottanta euro. Il limite è che, una volta andato in pensione, il lavoratore dovrà accontentarsi della metà di quanto aveva previsto di poter riscuotere».
Spunta così una terza via. «La Cisl - argomenta la Putzolu - ha deciso di assumere una posizione precisa: scelta volontaria del lavoratore, nessuna imposizione per legge. Dovrà essere il dipendente a decidere se la busta paga mensile dovrà essere più ricca oppure se è più opportuno incassare il Tfr alla fine della carriera lavorativa. Si tenga comunque presente che il netto percepito, su uno stipendio di 1500 euro, si aggira sui cinquanta euro. E anche questo sarà un elemento di riflessione».
Augusto Ditel
@augustoditel