Per avere un'idea della Cagliari che verrà, basta un passaggio rapido nei dintorni di Carlo Felice, inteso come statua. Le sere del settembre cagliaritano si prestano molto bene a fare da sfondo: dopo le 20 il caldo non è più asfissiante, l'aria torna a essere aria, il traffico della mattina cede il posto a un'altra folla. Nel Largo bar e negozi aperti, non si sente quasi parlare italiano ma una miscela di lingue da tutto il mondo. Turisti e immigrati contrattano in inglese, all'occorrenza spagnolo ma oltre non si va. Per ragioni misteriose sono scomparsi mendicanti, privatissimi appelli (“Ho fame”) e depressi cani d'accompagnamento. I marciapiedi sono pieni, si cammina sfiorandosi quasi fossimo in via del Corso a Roma. Poi c'è piazza Yenne, che è un incredibile colpo d'occhio. Alle 21 i tavolini dei bar sono tutti occupati, musica e parlottìo di fondo, atmosfera rilassata perfino per il pensionato che, seduto sul bordo di un'aiuola, si gode questa umanità a densità cinese. La ressa prosegue sulle scalette di santa Chiara, s'infila tra le stradine dietro la Rinascente in un felice sbracamento collettivo che segnala la magìa di un'estate metropolitana.