Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Quegli Schindler sconosciuti salvatori di ebrei

Fonte: L'Unione Sarda
27 gennaio 2009

La storia Cittadini tedeschi, e giusti


Inomi e i cognomi di questi cittadini tedeschi non dicono nulla. Non sono celebri come Oskar Schindler o le donne di Rosenstrasse. Ma come loro hanno salvato migliaia di ebrei dallo sterminio nella Berlino nazista. Otto Weidt, come il giusto di Spielberg, era un industriale. Fabbricava spazzole e scope e dentro il suo stabilimento accolse 30 ebrei non vedenti e sordomuti. Ne nascose altri destinati ai forni crematori come Alice Licht, giovane scampata alla marcia della morte da Auschwitz e sopravvissuta sino alla Liberazione. Quando nel 1942 i "suoi" operai furono razziati, Weidt, come Schindler, li riscattò uno ad uno, pagando e corrompendo i funzionari della Gestapo. Anche Donata ed Eberhard Helmrich sono due eroi silenziosi. Dopo aver salvato una famiglia ebrea durante la Notte dei Cristalli organizzarono una rete di solidarietà per i perseguitati dal regime hitleriano. Impiegarono decine di illegali in una azienda agricola in Polonia e furono in grado di attivare una linea di fuga verso Berlino per le donne condannate ai treni della morte.
Queste storie sono state raccolte in anni di ricerche dal tedesco Wolfgang Benz e mai tradotte in Italia. Giovedì 29 alle 16 a Cagliari, nell'aula magna delle facoltà umanistiche, lo storico Claudio Natoli ricostruirà tutti i particolari di questa inedita rete di resistenza civile. Al dibattito, organizzato dall'Università e dall'ISSRA in occasione della Giornata della memoria, parteciperanno anche Enzo Collotti e Luisa Plaisant. L'iniziativa prosegue il 12 febbraio all'istituto Scano di Monserrato dove alle 9,30 la scrittrice Pupa Garribba incontrerà gli studenti.
Il lavoro di Benz sulla Berlino resistente mette in discussione l'immagine di una popolazione tedesca fanatica, globalmente assuefatta al regime e quindi in qualche modo corresponsabile del terrore. Le testimonianze dei sopravvissuti svelano una costellazione di uomini e donne attivi e coraggiosi. Alcuni decisamente antinazisti, integrati in organizzazioni clandestine. Altri spinti alla ribellione da legami di amicizia o da una scelta repentina fatta un giorno qualunque della vita quotidiana. È il caso del portinaio Otto Jogmin che, insieme alla moglie Margarethe e alla figlia Vera, trasformò pian piano la palazzina della Wielandstrasse dove abitava in un rifugio. Dopo l'inizio delle deportazioni ospitò molti ebrei clandestini prima in un monolocale poi nelle cantine con la complicità di tutti gli inquilini.
Si pensa che gli ebrei salvati dai cittadini tedeschi a Berlino tra il 1942 e il '45 siano stati almeno 3000. Per ogni perseguitato scampato allo sterminio si conta l'impegno di decine di persone. Edith Rosenthal racconta che nella clandestinità nella capitale aveva cambiato 65 alloggi e che almeno 70 volontari contribuirono alla sua sopravvivenza. I nomi di questi salvatori erano stati dimenticati sia perché non era stata richiesta o certificata alcuna ricompensa per le azioni di solidarietà e soprattutto perché tali esempi smascheravano la leggenda che nulla si poteva fare contro la dittatura nazista. Una leggenda comoda che giustificava l'immobilismo e che asseverava la tesi dell'obbedienza agli ordini e al potere costituito, qualunque essi fossero. L'etica della giustizia e della responsabilità, invece, non si era spenta nemmeno negli anni più bui del Novecento.
WALTER FALGIO

27/01/2009