N on c'è alcun bisogno di cercare nel firmamento architettonico opere insuperabili. «Il pozzo sacro di Santa Cristina ha una perfezione grammaticale rimasta insuperata». A riportarci bruscamente con i piedi per terra, alla concretezza delle origini, giusto a un passo da casa, è il professor Francesco Venezia, che trova nelle “radici” architettoniche bussole affidabili, perché capaci di indicarci una rotta che reggerà all'urto del tempo e alla banalizzazione imperante.
Architetto, napoletano, settanta anni, docente di composizione architettonica all'Università di Venezia, dice, non senza qualche vezzo, di essere cresciuto «nel XIX secolo», scrive i suoi brevi saggi a penna e li perfeziona, sempre a penna fino a cinque volte e solo alla fine affida l'opera al computer. E soprattutto ha una visione poetica. Fuori dal tempo? Tutt'altro. «Internet - sentenzia senza appello - è qui nella mia testa». Radici e memoria sono indispensabili: «Un uomo senza radici non può fiorire». Semplice.
A Cagliari, dove ha tenuto una lectio magistralis alla scuola estiva internazionale di architettura, promossa dalla Facoltà di Architettura di Cagliari, il professor Venezia parla della candidatura di Cagliari e della Sardegna in senso ampio, a capitale della cultura europea.
«È un fatto molto interessante. È un momento in cui abbiamo un estremo bisogno di collegarci alle origini e la Sardegna, per le sue vicende storiche, è il più importante “giacimento culturale” del periodo arcaico. L'Isola ha ospitato insediamenti che ci hanno lasciato tracce di forme attuali».
Per esempio?
«Il pozzo di Santa Cristina, visto da un architetto, ha una perfezione grammaticale insuperata. Segna l'origine. Come l'Iliade rappresenta l'apice della poesia. Io sono d'accordo con Manfredo Tafuri, un grande storico dell'architettura, secondo il quale “il perfezionamento delle cose è già decadenza”. In Sardegna, 12 secoli prima di Cristo, si raggiunge in questo campo il più alto grado. Con una tecnologia che manda tutto allo sbaraglio, devastando le menti, ritornare alle origini diventa oltre modo salutare».
Lei ha sempre avuto un'attenzione particolare per le stratificazioni che raccontano un luogo. Quanto è importante la memoria in architettura?
«La memoria è il cardine attorno a cui tutto gira. Mi torna alla mente quella travolgente riflessione di Sant'Agostino sulla memoria. Sotto la calotta cranica - diceva - c'è il deposito di tutti i nostri tesori, tutto il nostro patrimonio. Gustav Jung sosteneva che ogni uomo ha una coscienza storica. Noi non possiamo prescindere da uno stato profondo che ci mette in comunicazione con i Polifemi».
I Polifemi?
«Sì, non dico a caso. Sarà Giove a sconfiggere i giganti e diventare il primo eroe. Poi verranno gli uomini e la filosofia. Sarà poi Vico a vedere la storia, l'avventura umana come un ciclo che trae le sue ragioni nelle origini. C'è l'eterno ritorno. Anche Nietzsche parlerà di eterno ritorno, il perenne rinnovarsi delle forme».
Torniamo alla memoria in architettura.
«La memoria è alla base della mia intuizione di architetto. Quando Sant'Agostino scrive il suo monito sulla memoria, l'impero romano crolla: dal nord Africa all'Europa è un mare di rovine. Che trasformate in archeologia muoiono lentamente, deperiscono».
Che cosa vuol dire?
«Penso alla bellissima Pompei che agonizza e spero davvero che il Vesuvio lo ricopra al più presto. Sì, lo scriva. Pompei ha ispirato Leopardi e i suoi versi della Ginestra. Ma la chiusura, con un recinto, porta al deperimento di un luogo. Le rovine hanno esplicato un ruolo fortissimo, sono state fonte di ispirazione di Bramante, di Leon Battista Alberti che hanno realizzato edifici che fossero degni delle rovine».
Periferie urbane. Si pensa a ricucirle con il centro…
«Battute, non ne parliamo. Nelle periferie non c'è alcuna architettura del suolo, non ci sono opere che le tengano ancorate al terreno come invece è stato fatto in passato per i centri storici. Cagliari è bella per la sua bastionatura, le sue opere di contenimento. Hebbel, il poeta, diceva che per fiorire verso l'alto bisogna scendere in profondità. Oggira ci sono le archistar strapagate, ma Michelangelo viveva con nulla».
Perché gli edifici moderni invecchiano presto?
«Perché non si sa più costruire. Pensiamo a Piazza del Collegio Romano: l'edificio costruito da Gregorio XIII è perfetto. È fatto di mattoni, argilla di primo ordine. Nell'architettura moderna è prevalsa la ricerca dell'immagine: trova ispirazione nella pittura, il suo obiettivo era quello di fare un quadro in carne e ossa. La Ville Savoye di Le Corbusier a Poissy deve essere costantemente restaurata. La costruzione muraria ha 4000 mila anni di tradizione e un collaudo millenario, il cemento armato non ha esperienza. Di ciò che è stato costruito negli ultimi settanta-ottanta anni non resterà nulla. Il moderno e l'hi-tech è un cocktail micidiale. Pietra e cristalli…»
Invece il pozzo sacro di Santa Cristina?
«Ha una forma straordinaria e non comune. Che cos'è il trapezio? È un quadrato che aspira a essere un triangolo. Questo è la perfezione con l'occhio di Dio al suo interno, il quadrato è il simbolo dell'uomo».
Un ibrido perfetto.
«Sì, un ibrido perfetto».
Ma anche un bell'ossimoro
«Gli ossimori sono meravigliosi, sono gli aspetti più divertenti del pensiero».
E Cagliari, con il suo cuore solido e le sue periferie?
«A Cagliari c'è quello che amavano molto i greci, ma anche i romani. È una realtà in cui le forme di natura si compongono con le forme dell'uomo. La città va a completare l'opera che la natura ha predisposto, incoronandola».
Caterina Pinna