Rassegna Stampa

web Cagliari Globalist

6 settembre 1995. La morte di Sergio Atzeni

Fonte: web Cagliari Globalist
8 settembre 2014


Diciannove anni fa ci lasciava Sergio Atzeni, scrittore intenso e indimenticabile cantore di una Sardegna ribelle. Il ricordo di Emiliano Deiana.
EMILIANO DEIANA

di Emiliano Deiana

Un uomo davanti al mare in tempesta.

Un uomo solo insieme alle sue parole: oggi canto per te con voce adolescente, nascendo ho perduto, vivendo non ho vinto, ora non ho niente, ho preso e dato morsi e sputi inutilmente.

Si tuffa nonostante il vento e il mare indiavolato. Ha voglia di nuotare e avere un attimo di requie dalle parole, dal risuonare burrascoso delle parole nel cervello.

È uno scrittore l'uomo che si tuffa in mare.

Uno scrittore, di quelli veri, di quelli che hanno qualcosa da dire e la dicono, di quelli che hanno storie da raccontare e le raccontano, di quelli che hanno il dono sacro della Parola. Della parola scritta e della parola criptata, della parola detta e di quella taciuta.

È un uomo ormai, ma non diverso dal ragazzo che fu e nuota a grandi bracciate quasi a prendere a schiaffoni il mare e pensa ai fiori: i fiori non cantano, i fiori non piangono, i fiori profumano senza lavarsi, i fiori giocano col vento. Già, il vento. Si fa ancora più forte e indiavola il mare come le parole indiavolano la mente. Sono un'ossessione le parole, una malattia, un ascesso del pensiero, una pustola dell'anima e ti fanno impazzire, se non le sai dominare, le parole. E ce n'è sempre da dire, ce n'è sempre da scrivere. Da riempirne quaderni interi di appunti, di progetti, di ipotesi.

Nuota con fatica l'uomo fra i marosi come con fatica nuotava fra le parole lo scrittore e pensa a Efisio: sentivo la voce del santo e sentivo il silenzio sul mare, ho creduto fosse in barca, mi sono voltato, una spigola mi ha guardato, non c'era nessuno con me.

Con fatica cerca aria con la bocca verso il cielo e vigliacca, carogna, un'onda gli riempie la bocca d'acqua. Sente i muscoli sempre più pesanti e un oceano di parole gli rimbalza in petto.

Nuota e sembra che veda la riva non tanto distante che se nuota ancora, con rinnovata energia non sarà un problema raggiungerla.

E in alto cielo terso. Nuvole che corrono come anime dannate e lui, l'uomo, il ragazzo che fu, perso in mezzo a tutto quell'immenso Niente liquido. Ancora poche bracciate e ancora la riva e ributtarsi sulla sabbia a prendere fiato, come da ragazzi che non è ancora l'ora del quinto passo, ma vele nuove l'onda infida spesso sommerge. Un'ondata nuova, una specie di mostro marino delle profondità sembra abbrancargli le gambe e lanciarlo ancora a largo. Non vede più la riva e beve acqua salmastra. Beve sale: l'amaro che sale, il fiato rotto, i muscoli spezzati da una fatica immensa, rotti dal crampo e dall'assalto di parole nuove, sconosciute, ignote. E gli macinano la testa, gli ammattiscono i pensieri e quell'urlo del mare infinito che ti ghermisce, che non ti consegnerà ad altre pagine, ad altre stagioni. Perché era scritto nel tuo destino che eri uno che bruciava subito, uno che consapevolmente costruiva sulla sabbia.

E non piantare mai radici pur essendo su questa terra infetta perfettamente radicato. Radicato come le invasioni delle cavallette, come le ribellioni sempre preparate e sempre abortite o delegate agli stolti e agli avventurieri. Ed ancora, davvero, definitivamente l'onda infida sommerge le vele nuove e non per una pesca d'alba - Sergio - ti chiedo compagnia ma fino all'imbrunire e per cantare...