Rom a Cagliari, l'integrazione stenta a decollare. Luci e ombre dopo la chiusura del campo - INCHIESTA
La situazione della comunità rom a Cagliari dopo la chiusura del campo sulla 554. Due anni fa il sequestro dell'area e l'avvio del progetto di integrazione che va avanti tra luci e ombre: c'è ancora chi vive in roulotte, case malridotte e senza acqua potabile. Note positive dall'istruzione, diversi i diplomati e per la prima volta una ragazza andrà all'Università.
CAGLIARI - Il 2 luglio 2012 lo sgombero del campo dei veleni. Ma da allora cos’è cambiato? “Le cose sono partite col piede sbagliato già tanti anni fa”, racconta don Marco Lai, direttore della Caritas di Cagliari, “si consideravano quelle famiglie ancora come nomadi, perciò fu costruito un campo sosta sulla 554. Invece si rivelarono subito stanziali”. E il campo si trasformò in una zona franca: acqua in comune, elettricità in comune, il tutto senza pagare. E poi altri problemi legati a criminalità, incendi, inquinamento. Una situazione insopportabile per i residenti dei quartieri vicini, ma anche per i rom stessi: impossibile quindi rimandarne la chiusura, firmata dal sindaco e decisa dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica della prefettura, dopo il sequestro preventivo ordinato dalla procura. Il tutto in ossequio alle direttive europee che volevano la chiusura di strutture del genere.
COMUNITA' DIVISA. Nasce allora il progetto di assistenza in collaborazione tra Caritas e Comune di Cagliari, co-finanziato dalla Regione. Primo obiettivo, trovare un nuovo alloggio 156 persone tra le quali circa 90 tra giovani e bambini: “Difficile per chiunque, figuriamoci per loro, vista la percezione negativa che hanno molti cittadini”, fa notare don Marco. E chi non vuole vederli può stare tranquillo: a Cagliari non ce ne sono più. “Non siamo riusciti a trovare nessun alloggio per loro in città”, spiegano dai servizi sociali del Comune “a causa di costi troppo alti, ma anche di spazi insufficienti, perché molte famiglie sono numerose”. Da allora 29 famiglie sono sparse per tutto l’hinterland, tra Selargius, Quartu, Quartucciu, San Sperate. “Abbiamo cercato di mantenere la comunità, senza separare le famiglie”.
IL PROGETTO CASE. Secondo l’accordo a pagare gli affitti è il Comune di Cagliari con finanziamenti provenienti in parte dalla Regione, mentre Caritas e associazioni di volontariato si occupano di sostegno e formazione: proprio grazie ai corsi serali sostenuti dalla Caritas 18 adulti hanno conseguito la licenza media. L’organo della Cei ha assegnato anche tre operatori a supporto di ogni famiglia, e due sono ospitate completamente a carico suo. “È stato molto brutto essere criticati da alcune aree della politica e della stampa per il nostro impegno”, si sfoga don Marco Lai, “perché noi aiutiamo anche tutti gli altri, senza distinzioni”. Anche i Servizi Sociali di Cagliari respingono al mittente ogni insinuazione: “E' un progetto che riguarda una categoria svantaggiata, ma il lavoro che facciamo con i rom è già attivo con altre famiglie di Cagliari: senza contare che anche loro hanno quasi tutti la cittadinanza italiana”.
C’è anche chi è rimasto fuori dal progetto. Come quattro famiglie che hanno lasciato il campo prima dello sgombero e ora sono ospiti presso un terreno dell’Asce, L’Associazione Sarda Contro l’Emarginazione, che si occupa anche di fornire ai rom supporto di varia natura, e di fare da mediatori nei confronti con le istituzioni. È un vero mini campo, con tanto di roulotte: “Viviamo qui da tre anni”, racconta uno di loro, Murat Sulemanovic, “lavoriamo ferrovecchio, occorrerebbe la documentazione, ma per ora non l’abbiamo. Io ho ottenuto la licenza media con le scuole serali grazie alla Caritas, ma il diploma non è ancora arrivato”. Nel campo tanti bambini piccoli, nessuno ancora in età scolare: il Comune di Selargius ha promesso una soluzione anche per loro.
E le case? “Posso dire che circa la metà ha problemi”, racconta Rakto Halilovic, conosciuto da tutti come Boban. Un anno fa ha fondato Dosta, la prima associazione che riunisce i rom: “Cerchiamo di farci da portavoce e di difendere gli interessi di tutti, anche se non sempre le istituzioni ci ascoltano”. Boban si è sistemato nella casa assegnata con figli e nipoti: “Quando siamo arrivati mancava la luce e l’abbiamo avuta solo grazie ad una persona gentile, mentre l’acqua non è potabile”. Gran parte della famiglia dorme nei furgoni parcheggiati in giardino. Impossibile abitare un’intera ala della casa, a causa di umidità e infiltrazioni che creano allagamenti. Per questa 'reggia' Comune e Regione spendono 1500 euro al mese.
E non è l’unico caso: la prossima tappa è presso alcuni capannoni appartenenti a un’impresa, una soluzione temporanea, dal costo di 500 euro mensili. “Qui noi stiamo bene”, ci tiene però a dire il capo famiglia, che ci accoglie in una sorta di open space, modesto ma curato, e vuole rimanere anonimo. “Ho bisogno di spazio per la mia attività di vendita di ferramenta e mi sono pure messo in regola”. Perché allora non vuoi rivelare il tuo nome? “Temo la polizia, mi hanno fermato un sacco di volte. Mi sento vessato”. Nei dintorni molte famiglie hanno trovato sistemazione in strutture che un tempo appartenevano a imprese.
Dunque se da un lato molto è stato fatto, tanto ancora resta da fare. “Basta con gli affitti: dateci un pezzo di terra e ci costruiremo da soli le case, tutti insieme e secondo le regole”, è la proposta di Boban. E sono in tanti a parlare di “un villaggio, non un campo. Un luogo adatto a noi e inserito nella città”. “L’idea di casa per i rom non è la stessa che abbiamo noi”, commenta Antonello Pabis, presidente dell’Asce, “loro hanno un senso della comunità molto più forte”. Soprattutto molti sono preoccupati per la scadenza del programma di assistenza, prevista per l’anno prossimo: dove andranno quando finirà? “Vedremo, la scadenza potrebbe essere anche prorogata”, è la risposta del Comune.
L'UNIVERSITA'. Ma la vera spinta al cambiamento verrà dall’istruzione e qui sono tante le notizie positive. Sono sette i giovani diplomati l’anno scorso, e una di loro, Elisabetta Sulejmanovic, sarà la prima a iscriversi all’Università. Merito dell’impegno della fondazione Anna Ruggiu: “Abbiamo messo in palio delle borse di studio,”, racconta il presidente Giampaolo Loi, “ma siamo molto fieri anche del film Dimmi che destino avrò, girato con gli stessi ragazzi rom, che sarà trasmesso anche dalla Rai”. La fondazione si è occupata anche di organizzare tirocini per gli adulti, coinvolgendo per ora sette persone. Per vedere un futuro diverso dalla vendita di ferraglia. E il vecchio campo? Il Servizio Igiene del suolo del Comune fa sapere che la bonifica è stata completata su appalto. Dove sorgeva, oggi c’è solo uno spazio vuoto e recintato. “Ogni tanto passiamo a dare un’occhiata”, spiegano alla Polizia, “ma nessuno ha cercato di tornare”. Impossibile sentirne nostalgia.