Rassegna Stampa

Il Sardegna

Da Stampace un grido disperato «La “ratantira” non deve morire»

Fonte: Il Sardegna
23 gennaio 2009

Reazioni. Intellettuali e personaggi dello spettacolo chiedono un intervento per tutelare la manifestazione

L'interprete Giampaolo Loddo è fuori dal coro: «Qui il carnevale tradizionale none siste»

Salvate Cancioffali e rantantira. Lo chiedono intellettuali e i casteddai doc. Tutti d’accordo (eccetto uno, per la verità) sulla necessità di salvaguardare quel che resta del tradizionale carnevale cagliaritano. «A me dispiace proprio», si rammarica lo scrittore e giornalista Nino Nonnis, «ho vissuto per anni a Stampace e so quanto ci tengano da quelle parti al carnevale. Vedere la sfilata da quelle parti è un rito cui pochi rinunciano. E quello che più mi dispiace è assistere passivamente ad un carnevale che non interagisce con la gente, come la rantantira». Gli fa eco Massimiliano Medda, attore teatrale, nato e vissuto nel cuore della Marina: «sì conosco la vicenda», racconta Medda, «ho letto di questo carnevale in costume medievale. E va bene. Ma non credo che per questo si debba automaticamente escludere l’altro. Io penso che perdere il carnevale tradizionale sia sbagliato. Inventare va bene, ma conservando le tradizioni e i ricordi affettivi di generazioni di cagliaritani». Vani fin’ora i tentativi di innovare la tradizione: sia nel 2005 con Insect, sia nel 2006 con “Dante l’elefante”. «Non trovo la necessità di dover innovare il carnevale», spiega il regista Giovanni Columbu, «penso sia invece opportuno mantenere la manifestazione così com’è: tradizionale e spontanea». Ma c’è anche chi non la pensa così.

L’UNICA VOCE FUORI dal coro è quella di Giampaolo Loddo, l’attore di Sant’Avendrace. «Non ho alcuna difficoltà a dire che il carnevale tradizionale di Cagliari non esiste», spiega, «non abbiamo maschere originale come Pulcinella o Arlecchino, ma maschere fasulle come Sa Panettera o Su Piscarori. Io proposi anni fa di impiantare maschere pescando nella tradizione cagliaritana. Il famoso Stampu Nieddu poteva diventare il nostro Dottor Balanzone. E naturalmente anche i carri», conclude l'attore cagliaritano, «sono copiati dalle manifestazioni di Fano e Viareggio». Non conosce il carnevale tradizionale cagliaritano l’antropologo Bachisio Bandinu, che viceversa è un profondo conoscitore delle maschere dell’interno della Sardegna. «Posso però sottolineare», spiega Bandinu, «la gravità di cancellare manifestazioni nelle quali si riconoscono i valori delle comunità isolana».

E POTREBBE ESSERE l’addio dunque al carnevale cagliaritano. Nato nel dopoguerra il “Carnevale cagliaritano”, venne organizzato per la prima volta a Stampace dalla socie tà di Sant’Anna. Dopo pochi anni l’organizzazione passa alla Gioc, che ottiene dalla Curia la chiesa sconsacrata di Santa Restituta per accogliere i giovani operai, struttura la rantantira e inventa personaggi mitici delle sfilate anni Cinquanta e ’Sessanta come Marianna pezz’ Cuaddu o il mitico vigile urbano nei panni della diva Isa Miranda. Col declino della Gioc, assume un ruolo di rilievo il Dopolavoro ferroviario che dominerà la scena dagli anni Novanta in poi, assorbendo alcuni dei reduci dell’associazione di via Santa Restituta. ¦ EN.NE.