U n albo nazionale dei donatori di organi a cui iscriversi negli uffici anagrafe dei Comuni. Il sogno delle organizzazioni a tutela dei trapiantati potrebbe diventare realtà se l'appello lanciato al ministro della Salute Beatrice Lorenzin e al presidente dell'Anci Piero Fassino riceverà una risposta positiva. Ci spera sicuramente Marco Borgogno, presidente dell'Aitf, l'associazione nazionale trapiantati di fegato, autore di una lettera con cui nei giorni scorsi ha sollecitato l'intervento delle istituzioni affinché la proposta sia tramutata in legge.
«Chiediamo soltanto l'applicazione di una misura etica - ha commentato Borgogno - che rappresenterebbe un passo avanti verso un protocollo unico utile alle strutture sanitarie per trasformare una tragedia in un gesto di estremo altruismo». L'auspicio dei volontari è quindi quello di una sinergia tra Servizio Sanitario ed Enti Locali che consenta a ciascun cittadino una decisione responsabile e spontanea.
Il sì all'espianto dei propri organi potrebbe così essere disposto, ed eventualmente cambiato, con le stesse metodologie con le quali si modificano residenza o stato civile. I coordinamenti regionali delle donazioni e dei prelievi di organi potrebbero poi creare con le amministrazioni locali un archivio elettronico nazionale. L'assenza del quale ha sinora, secondo i rappresentanti delle associazioni, in parte ostacolato l'applicazione delle disposizioni di legge. «La tessera del donatore, con la quale dagli inizi del duemila ogni cittadino ha potuto dichiarare il consenso all'espianto degli organi ha salvato migliaia di vite - spiega Pino Argiolas, presidente della Prometeo Aitf Onlus, l'associazione dei trapianti di fegato sardi -, i famigliari non contrastano mai le volontà espressa del proprio caro, ma molto ancora si può fare». Per esempio togliere ogni dubbio al medico e deresponsabilizzare i parenti sconvolti da un lutto e per questo incapaci di valutare gli effetti positivi di una decisione da prendere tuttavia in pochi secondi.
«Anche i sondaggi spingono verso questa direzione - dice Argiolas -, a distanza di tre anni dal decesso di un parente il 70% degli intervistati si è pentito di non aver dato l'ok all'espianto degli organi, mentre la quasi totalità di chi tre anni fa ha detto sì ai medici ha approvato la scelta fatta. Dobbiamo partire da questi dati per capire che non c'è modo migliore per gestire questi eventi tragici se non quello di anticiparne le conseguenze con consapevolezza e generosità». (l.m.)