Massimo Ledda
Sulmona.
Da queste parti se fai il nome di Luca Silvestrone (ma basta pure il cognome), rischi di essere sommerso dalle risate o, in alternativa, dagli insulti. Perché a Sulmona - patria del poeta latino Ovidio, 25 mila anime che vivono tranquille circondate dalle montagne abruzzesi, respirando aria buona e mangiando bene - l'intermediario ravennate che a suo dire rappresenta un fondo d'investimento americano intenzionato a comprare il Cagliari calcio e costruire poi il nuovo Sant'Elia, se lo ricordano bene. E come dimenticare: solo tre anni fa, nel settembre 2011, mise in moto un'operazione mediatica analoga a quella sarda seguendo esattamente lo stesso schema: uno stadio tutto nuovo da 12 mila posti, con centro commerciale, piscina e palestre. Da costruire alle falde del monte Morrone e con sulla sfondo le cime della Maiella. Investimento da 40 milioni di euro.
E via con le conferenze stampa, gli incontri col sindaco, le promesse di svelare al più presto i nomi dei finanziatori a stelle strisce. Come ha fatto a Cagliari con Meis, pure a Sulmona si presentò insieme a un architetto di fama modiale, per dare maggiore credibilità: quella volta fu Matt Rossetti, progettista della Red bull Arena di New York.
È finita che quando dal Comune, dopo tanto parlare, gli chiesero di presentare il progetto di finanza con le fidejussioni, lui e i suoi misteriosi amici americani sono spariti. Volatilizzati.
«Sta riproponendo pari pari quello che ha fatto qui - spiega l'ex assessore all'Urbanistica Gianni Cirillo -, ma se posso capire che un bluff del genere possa capitare in una piccola città come Sulmona, con una squadra che milita in Eccellenza, mi sembra incredibile il fatto che gli diate retta a Cagliari, che è una grande città e ha una squadra in serie A. È a dir poco sconcertante».
Cirillo dice di essersi accorto quasi subito di chi aveva davanti: «La seconda volta che si è presentato in ufficio l'ho cacciato, venne con i soliti 4 foglietti in cui c'era l'immagine di uno stadio realizzata al computer, gli ho detto di tornare quando aveva in mano un vero progetto».
Qui a Sulmona però Silvestrone aveva dalla sua una carta importante da giocare: è cugino primo per parte di madre di Maurizio Scelli, ex commissario della Croce Rossa e all'epoca deputato del Pdl. Un ras locale insomma. Silvestrone lo convinse a spianargli la strada, gli fece rilevare le quote del Sulmona Calcio per poi mollarlo in braghe di tela facendogli fare una figuraccia colossale.
«È per questa ragione che gli ho creduto - spiega oggi l'ex sindaco Pdl Fabio Federico, direttore sanitario del supercarcere di Sulmona -, perché è venuto da me presentato dall'onorevole Scelli. Quando poi è tornato con un progetto preliminare ben fatto e accompagnato dall'architetto Rossetti, ho smesso di avere dubbi: che senso aveva mettere in piedi una cosa del genere per nulla? Così abbiamo fatto una delibera d'intenti per incoraggiarli, ma da quel momento lui e il suo socio Enrico Biserni sono spariti».
Scelli, che ora è tornato a fare l'avvocato a Roma, della vicenda preferisce non parlare - «è pur sempre mio parente, non mi va di dire nulla su di lui», taglia corto al telefono - ma chi lo conosce bene dice che è infuriato per essere stato messo in mezzo a questa storia degna di un film di Totò.
E che ha capito con chi aveva a che fare quando è venuto fuori che il contratto di sponsorizzazione con cui Silvestrone si era presentato a Sulmona - 250mila euro garantiti dalla Esselunga - era un falso clamoroso. A scoprirlo fu Ivano Bonetti, ex calciatore della Juventus, che nell'ambizioso Sulmona di Silvestrone era destinato a fare "il team manager alla Ferguson".
«Luca l'ho conosciuto a Ravenna - conferma l'ex bianconero -, è uno di quei personaggi che non si sa bene cosa fanno ma che bazzicano sempre attorno ai campi di calcio. Parlava, vantava contatti e amicizie importanti, si vendeva bene. Siamo diventati buoni conoscenti e quando mi ha parlato del progetto Sulmona ci ho creduto. Come ho fatto? Beh c'era Scelli, ho pensato mica sarà un coglione Scelli, era pure deputato. Purtroppo anche Scelli ha pensato lo stesso, mica sarà un coglione Bonetti».
Nella stagione 2011-2012 Bonetti fa l'allenatore sino a metà campionato, poi viene mandato via per volere di Silvestrone. «La squadra era a un punto dalla prima - prosegue -, ma nel frattempo avevo scoperto tutte le balle che raccontava, mi faceva vedere delle mail ma non mi dava mai i numeri di telefono di questi personaggi. In realtà erano nomi inventati, come quello del responsabile della Esselunga che doveva sponsorizzare la squadra, e quelle mail se le inviava da solo».
Oggi l'ex juventino segue la telenovela cagliaritana con un misto di stupore e sconcerto: «Non capisco davvero come sia possibile che prenda in giro una città e una squadra da serie A. E mi sembra strano che Cellino, non l'ultimo arrivato, gli dia credito. Questo è uno che non conosce neanche una parola d'inglese».
Due giornalisti locali, Claudio Lattanzi del Centro e Patrizo Iavarone del Messaggero, hanno seguito la vicenda passo a passo, sin dalle prime entusiastiche conferenze stampa di Silvestrone. Iavarone ha anche pubblicato numerosi articoli sul suo blog Zac7.it in cui racconta alcune delle "imprese" dell'intermediario ravennate, come quando annunciò di voler commercializzare in Italia una caramella antitartaro (americana, naturalmente) e convinse Bonetti a entrare in società con lui, impresa poi naufragata in un contenzioso con l'ex calciatore. «Gli abbiamo dato un minimo di credito - spiegano i due giornalisti - anche se da subito non ci convinceva il fatto che qualcuno volesse investire 40 milioni di euro per fare uno stadio da 12 mila posti in una città di 25 mila abitanti. Dopo un po' però si è capito che qualcosa non tornava: i nomi degli investori americani non saltavano mai fuori e ogni volta c'era una scusa, sempre diversa. Aveva opzionato i terreni in cui doveva nascere l'impianto, vicino a villa Sardi, ma il giorno in cui doveva stipulare i contratti non si è presentato». Pressato dalla stampa locale, che lui regolarmente minacciava di querelare perché osava insinuare dubbi sulla sua credibilità, un giorno si presentò a una conferenza stampa insieme a tre stranieri. «Americani erano americani - racconta Iavarone - ma avevano l'aria di non sapere neanche di cosa si stesse parlando, non sembravano certo uomini d'affari ma turisti presi dalla strada. Due di loro, un uomo e una donna, la sera stessa li ho incrociati a passeggio per il centro storico di Sulmona mano nella mano proprio come turisti qualunque».
Resta una domanda: perché mettere in piedi tutto questo can can, cosa c'è dietro? L'ex sindaco Federico ancora non sa darsi una spiegazione: «Non ci ha guadagnato un soldo, quindi non può definirsi un truffatore, anzi probabilmente i soldi lui li ha spesi, almeno per fare quel progetto preliminare di cui conservo ancora copia. Non so davvero cosa dire, per me questa storia resta un mistero, un vero giallo». O una commedia napoletana.