Il presidente del Cagliari (e del Leeds) rivela tutti i retroscena della vicenda
L a sua ultima intervista «da proprietario del Cagliari». Massimo Cellino annuncia l'uscita di scena, esattamente ventidue anni dopo aver deciso di regalarsi un giocattolo che è diventato la sua vita. Vende il Cagliari, dice, anche se non chiude il cerchio rivelando a chi passerà la sua creatura. Credergli diventa un atto di fede, più che un'opzione, perché in questi ultimi cinque mesi ne sono successe talmente tante che la diffidenza resta l'unica arma a disposizione. Tuttavia, il sogno americano da cullare all'interno di uno stadio con i pavimenti piezoelettrici resterà una bufala colossale, alla quale lui - dice - ha sempre creduto poco.
Il caso Silvestrone sembra chiudersi con l'etichetta del bluff, alla fine di diversi passaggi poco chiari, di annunci di vendita, con un lotto di protagonisti che il popolo dei tifosi rossoblù non dimenticherà facilmente.
Presidente, e gli americani?
«Sono a “Chi l'ha visto”».
Ma... sono arrivati i soldi?
«Eja, ci sono sette zeri, ma si sono dimenticati di mettere l'uno davanti. Ma di cosa sta parlando? Ma quali soldi? Lasciamo perdere».
Avevate annunciato l'accordo, una settimana fa, con strette di mano e selfie da Miami. Gli americani avrebbero pagato la caparra appena arrivato il via libera della Commissione provinciale per il 16 mila posti al Sant'Elia. È così?
«Da quel giorno non ho sentito più nessuno».
Eravamo al corrente di febbrili contatti tra i suoi avvocati e quelli del fondo Usa, per arrivare a una firma...
«Ma di cosa sta parlando? Per quel che ne so io, se devo stare a quello che ho visto, non c'è nessun fondo americano. Né fondo, né piano».
Ma allora è stato tutto uno scherzo? Silvestrone è andato in Comune rappresentando il Cagliari, in compagnia di un consigliere di amministrazione della società.
«Ho sempre pensato che questo signore non rappresentasse altri che se stesso. Il sindaco lo ha fatto entrare in Comune. I tifosi volevano che lo ricevessi e l'ho ricevuto. Ma quando l'ho visto... per carità».
Sì, ma non è stato lei quello che ha annunciato all'Ansa la firma dell'accordo? Ha persino detto “Che Dio li benedica”.
«Senta, nell'ultima partita che ho visto al Sant'Elia sono andato via alla fine del primo tempo, dopo aver sentito gli insulti dei tifosi, nonostante tutto quello che ho fatto in 22 anni. Sono andato persino in carcere, e non so ancora perché, per aver cercato di dare loro uno stadio. I tifosi e il Comune vogliono Silvestrone? Se ha i soldi, prendetevelo... Questo ho pensato».
E invece come è andata a finire?
«E invece soldi non ce ne sono. E neppure investitori. Non sono mica tutti scemi come me».
Qualcuno, diciamo la sua “controparte”, ha detto che in questa operazione correvano quasi 200 milioni.
«Non scherziamo. Gli investitori... dall'incontro di Miami sarebbero dovuti passare pochi giorni prima di sapere chi fossero, nomi e ruoli. Invece non ho mai saputo nulla. Non ho saputo chi sono, né ho più sentito nessuno. Aggiungo un dettaglio: gli accordi prevedevano che al termine dell'incontro per lo stadio, a Cagliari, sarebbero dovuti uscire pubblicamente i nomi di chi si impegnava a partecipare alla gara per realizzare lo stadio. Non mi sembra sia avvenuto. Gli affari non si gestiscono così, riservatezza compresa».
Lei è sicuro di non aver usato una figura come quella di Luca Silvestrone per forzare il sindaco sulla questione stadio?
«Non ho usato nessuno. È stato il sindaco Zedda a scegliere di trattare con lui per il Sant'Elia».
Torniamo a quell'annuncio di mercoledì all'alba. Sono tantissimi a essere convinti che dietro questa manovra ci sia stato comunque lei.
«La gente può credere quello che vuole, io non posso inseguire tutti. A Silvestrone ha creduto solo chi voleva credergli...».
Ma lei lo ha legittimato. È innegabile.
«Io l'ho ricevuto perché così volevano i tifosi e perché con lui c'era Dan Meis».
Appunto, parliamo di Dan Meis. Nessuno può credere che una persona della sua fama sia andata allo sbaraglio. Eppure sembra sia andata così.
«Sa cosa mi ha detto Meis? Verrò volentieri a Cagliari a fare lo stadio. Ma non mi parli di soldi. Io mi occupo degli aspetti tecnici, la questione finanziaria è in mano a Silvestrone».
Sempre quello, il “suo” Silvestrone?
«Ancora? Ma che credibilità poteva avere ai miei occhi uno che si è fatto il passaporto per venire negli Usa il giorno prima di partire dall'Italia? A me sembra una persona con evidenti problemi».
Dunque, niente americani in salsa rossoblù?
«Io non ho mai sentito un americano, su questa vicenda, se esclude Dan Meis. Da quell'incontro di Miami in poi, nessuno si è più fatto vivo. Mi dicono che in Italia si parli di fuso orario, di incontri a Londra, di accordi da limare tra avvocati. Tutto falso. Se hanno una prova che testimoni il contrario, la mostrino».
Silvestrone dice di avere una mail dell'avvocato Accardi in cui gli dice che è una persona serissima e si complimenta, l'avvocato, per la professionalità nella trattativa.
«Lo avrà conquistato con la sua classe e stile. Probabile».
E adesso che si fa?
«Ora si vende il Cagliari a chi ha voglia di metterci la faccia. Bisogna fare presto, perché c'è una stagione da programmare e uno stadio da mettere a norma».
Dunque lei annuncia che uscirà davvero di scena?
«L'ho già fatto, nel giorno in cui i tifosi mi hanno urlato di andare via».
Non è l'ennesimo bluff?
«No. Questa è la mia ultima intervista da proprietario del Cagliari».
Enrico Pilia
@enricopilia