I n questa microstoria, carica di riferimenti alla sua vita familiare, con salti avanti e indietro nel tempo, Liesl Jobson racconta per L'Unione Sarda il suo primo approccio con la lettura delle parole e delle note musicali. La traduzione è di Francesca Pirisi. Gennaio 1971, imparare a leggere è la cosa più divertente che abbia mai fatto con mia madre. Ho cinque anni. Megan ne ha quattro. Cath, a due, è troppo piccola per leggere (...) C'è un altro bebè nella pancia di mamma. Lei mi prende la mano e mi lascia sentire come scalcia (…). Il suo ginocchio o il suo gomito spinge la pelle all'infuori e poi, come un animaletto che si rigira, scompare di nuovo.
Megan e io impariamo i nomi delle lettere, i loro diversi suoni. A, pronunciato aye, è un suono difficile che fa rima con hay . Il suo suono è ah . Un suono breve, soffice e leggero (…) Per la cronaca, hey? , che suona come hay , è una domanda fatta da bambini sgarbati. Quando non si comprende qualcosa, cortesia vuole che si domandi: come scusi? . Non è maleducato come una parolaccia, che è severamente vietata, e finisce che ti viene sciacquata la bocca con il sapone, ma è meglio evitarlo davanti a mamma.
Impariamo le lettere, cantiamo la canzone dell'alfabeto. Mi piace dire tutte di seguito elemmenopee! Un suono multi-sillabico che contiene molte lettere che richiedono diversa articolazione. Mamma ha fatto delle carte per le lettere: grandi e rotonde in un grasso inchiostro rosso su della rigida carta bianca. I suoni si incastrano fra loro. È un gioco fantastico. Sono brava a capire come si uniscono le lettere. È facile comporre le parole. C'è una G e una A e poi due T e una O . Insieme formano gatto . C , A e poi N ed E formano cane. Alla fine del gioco, mamma raccoglie le carte in una pila e le mette via su un alto scaffale.
Mamma ci legge “Go, dog. Go!” con quelle sue brevi e acute parole pronunciate dallo stupido duo di cani. Oltre alla grande considerazione per la punteggiatura che mi è stata instillata dal titolo, è rimasta con me per più di quarant'anni questa domanda ironica: «Ti piace il mio cappello?», che nella nostra famiglia ha sempre significato: «Dimmi che non sono ridicolo».
Ci legge “Prosciutto e uova verdi”, che diventa il modo della mia famiglia per riferirci al cibo dalla commestibilità discutibile. Legge “The Story of Dr Dolittle” e il suo pappagallo, Polinesia. Il pushmi-pullyu (che si pronuncia push-me-pull-you ) è inciso nella mia mente. Anni dopo, facendo colazione, ho riconosciuto la creatura a due teste mentre indossava l'abito di mio marito. Poco più tardi ho abbandonato il matrimonio, sapendo che non potevo durare un giorno di più ad essere tirata verso direzioni opposte.
Mamma ci legge “Il leone, la strega e l'armadio”. Ancora una volta i riferimenti letterari rimangono impressi nella mia psiche. Appena la settimana scorsa, facendo i bagagli per l'Italia, ho consultato mia sorella (...) Avendo vissuto in Italia era la più adatta a dare consigli di viaggio. «Non portarti tutta quanta la collezione di Narnia», mi ha avvisata (…).
Prima della lettura c'era la scrittura. Ho quattro anni quando mi assale il desiderio di prendere in mano la penna. Faccio dei cerchi, scarabocchio di qua e di là. Mia nonna, a corto di immaginazione, non mi prende sul serio. Faccio finta di scrivere. Devo imparare a disegnare le lettere. Devo andare a scuola. Potrebbe leggere la mia storia se solo volesse provare. La sua risata dice che sono intelligente, ma la delusione per il fallimento della mia storia rimane.
Estelle ha un mese. Io quasi sei. Presto sarò in prima elementare. Mia madre mi ha cucito una nuova uniforme dopo che il criceto è riuscito ad arrivare al cesto della lavanderia masticando la vecchia. Posso lucidarmi le scarpe. Mio padre mi insegna a leggere la musica. Ho ricevuto un flauto da Babbo Natale. Quando lo tiro fuori dal suo astuccio di tela beige, sembra sia stato plasmato con cioccolata lucida. Il suono è duro e intenso come il limone. In pochi minuti compare una nuova regola di casa. Il flauto si suona fuori.
Fuori papà mi spiega cosa sia una semiminima (crotchet in inglese, diversa da crochet). Leggo bene abbastanza da riconoscere le parole simili. «Non dire alla tua irritabile nonna che è stata capricciosa» (crotchety), mi mette in guardia, ridendo (...) Ma la memoria è mutevole. I giochi di parole non arrivarono più tardi? Questi necessitano di sofisticatezza cognitiva. Ero sicuramente troppo piccola.
Mio padre mi spiega il ritmo. «La semiminima è una nota di un battito». Quattro battiti in una misura (l'insieme di valori compresi da due linee verticali poste sul pentagramma). Taa-taa-taa-taa. Canto. Batto le mani. Ci incamminiamo verso il fiume attraverso il boschetto di guava. Papà è contento. È facile farlo felice. La rabbia di mamma è aumentata dopo la nascita di Estelle. Tossisce incessantemente. Nonna fuma nella sua stanza. Mamma ribollisce in cucina.
Papà mi mostra come suonare il Si. La musica, diversamente dall'alfabeto, non inizia con la A (La). La mano destra sta nella parte di sotto: il pollice sinistro dietro. Gli indici si inarcano in cima. Suono una serie di Si. Imparo le minime e le crome. Imparo il "la" e il "sol", due dita e poi tre. B (Si)-A (La)-G (Sol) si legge bag (borsa) (…) Giorni di miracoli e di meraviglia, passati sull'albero di jacaranda… Sono una ragazza diversa, una nuova me. Invento melodie. Volo libera. Musica e parole sono inseparabili. Si formano l'una con le altre, hanno fatto di me quella che sono.
Liesl Jobson