la grande guerra
di Giuseppina Fois
Lussu e la Brigata si somigliavano. Quando raggiunse per la prima volta il fronte, il 25 luglio 1915, la Brigata "Sassari" era una delle unità di più recente formazione dell'esercito italiano, essendo stata costituita nella seconda quindicina di gennaio con i due reggimenti, 151 e 152. Nell'arco dei 40 mesi di guerra ne avrebbe passato in trincea 17 e 7 giorni (una media di gran lunga più alta di quella degli altri reggimenti). Avrebbe avuto, nei quattro anni di trincea, 1.596 morti, 8.745 feriti, 2.035 dispersi tra i soldati; 138 morti, 359 feriti e 50 dispersi tra gli ufficiali. Cifre che non ebbero l'uguale in altri corpi combattenti. Nel corso della campagna la Brigata si sarebbe meritata 2 medaglie d'oro alla bandiera di ciascuno dei due reggimenti, 5 citazioni sul Bollettino di guerra, 9 medaglie d'oro individuali, e altre 405 decorazioni. Al "palmarès" corrispondeva una peculiarità che fu subito chiara a tutti, principalmente agli Alti Comandi. Questi ultimi decisero anzi di impostare proprio su quell'elemento peculiare la propria campagna di rafforzamento dello spirito di corpo per potenziare ed esaltare l'efficienza guerriera della Brigata. Parlo della composizione "etnica" della Brigata, cioè di quel senso supplementare di coesione e di solidarietà interna che le derivava dall'essere prevalentemente composta di soldati (e in larga parte di ufficiali) provenienti dalla Sardegna. Per cogliere questo aspetto bisogna fare riferimento a una pluralità di fonti che non sono solo unicamente quelle militari, ma sono piuttosto la memorialistica di guerra (molto densa e precoce, indipendentemente dal fondamentale libro di Lussu sulla guerra, che anzi giunse solo nel 1938 dopo gli altri), il giornalismo di guerra e infine la memoria orale, tramandata in forme diverse e discontinue dai reduci, ma che potè cementarsi in quell'importante amplificatore che fu rappresentato, a partire dal 1918 e lungo i primi anni Venti, dal movimento politico sardista. Al centro di questa progressiva rielaborazione del mito della "Sassari" ci fu ovviamente un dato di fatto, che emerge anche dai più crudi e asettici documenti ufficiali. Chi leggesse ad esempio negli archivi militari la lunga sequenza dei Diari storici, sorta di agenda che registra giorno per giorno le operazioni al fronte, redatta dai comandanti di reggimento e di battaglione e corredata di una miriade di documenti accessori, opera di ufficiali di grado anche inferiore, vi troverebbe facilmente le medesime espressioni, il riferimento documentato agli stessi episodi e in definitiva la stessa interpretazione che si sarebbe poi affermata e perpetuata nelle fonti successive. Così, ad esempio, molti dei fatti, anche i più scabrosi, raccontati in “Un anno sull'Altipiano” da Lussu, non solo sono identici nella loro cronologia e nel loro svolgimento alla versione di altri memorialisti (per esempio il Graziani-tenente Scopa di “Fanterie sarde all'ombra del Tricolore”) ma persino nelle scarne eppure incisive annotazioni dei Diari. Anche se bisogna sempre tener presente che il libro di Lussu non voleva essere affatto una cronaca dei fatti (due studiosi veneti, Pozzato e Nicolli, lo hanno qualche anno fa dimostrato efficacemente). Che tipo di Brigata racconta Lussu nel suo grande libro sulla guerra? Il libro, come si sa, fu scritto in poche settimane in Svizzera, tra il 1936 e il 1937, in un sanatorio di Clavadel, sopra Davos, dietro l'insistente pressione di Gaetano Salvemini. Uscì in edizione francese, per essere tradotto in italiano solo nel dopoguerra. Fu scritto con grandi sofferenze, tanta fu la partecipazione umana ed emotiva al dolore della guerra. L'autore era ormai (questo è un punto che va rimarcato) un uomo molto diverso dal giovanissimo ufficiale protagonista del ritratto di Bellieni: aveva vissuto l'esperienza della lotta antifascista, il confino, la fuga da Lipari, la fondazione di "Giustizia e Libertà". Era stato reso saggio da una maturità precocemente vissuta, alla quale la guerra stessa non era stata estranea (anzi, nel percorso umano che l'aveva segnata, aveva costituito una vera pietra miliare, destinata a restare indelebile punto di riferimento anche nelle epoche successive della vita di Lussu). Dunque il libro era, più che un resoconto immediato della guerra, una rimeditazione dolente e matura della sua esperienza compiuta a vent'anni di distanza: giustamente Mario Isnenghi ha parlato di «vertice della diaristica italiana» e di un «processo di dissacrazione della Grande Guerra». E Manlio Brigaglia di «uno dei capolavori di tutta la letteratura europea sulla Grande Guerra». In nessun punto del libro Lussu cita la Brigata col suo nome: è come se volesse raccontare una guerra esemplare e a suo modo anche universale, situabile in qualunque fronte e a qualunque latitudine, per coglierne amaramente l'ingiustizia di fondo, l'irrazionale crudeltà e «la stupidità e la ferocia dei generali». E tuttavia non è difficile riconoscere in quella rappresentazione i tratti caratteristici della Brigata Sassari: i suoi piccoli soldati-contadini, la cui passiva predisposizione al massacro (perché la guerra è sentita e subita, in quella cultura, come lo sono gli eventi «grandi e terribili» della natura avversa) si tramuta nel corso dell'esperienza della trincea in un senso via via più consapevole della assurdità della morte inutile e infine in un insopprimibile istinto alla ribellione.