cagliari
di Gabriele Balloi w
CAGLIARI Prolungati e scroscianti applausi dal pubblico del Comunale. Tutti per lo sloveno Marko Letonja e l’Orchestra del Lirico, venerdì e sabato per il 14° appuntamento della Stagione concertistica. Un successo per la performance di Giuseppe Albanese nel «Terzo Concerto» di Sergej Prokofiev, nonché il poema sinfonico di Richard Strauss «Ein Heldenleben». Pure quest’ultimo, a suo modo, con un proprio “solista”: il primo violino di spalla Gianmaria Melis, colonna portante della compagine. E non solo per l’impegnativa parte solistica in sé, quanto, piuttosto, per il supporto di “secondo timoniere”, fondamentale stavolta alla coordinazione del nutrito organico e delle articolatissime pagine in programma. «Vita d’eroe», d’altra parte, è fra gli apici del catalogo straussiano in quanto a orchestrazione. Adoperando un gigantismo di forma, durata, dispiegamento strumentale, e una capacità prismatica di elaborare i temi, Strauss confeziona un ritratto (ironicamente non dichiarato) della propria persona. Sei episodi senza soluzione di continuità, che ne traspongono in musica biografia e carriera. Dall’eroismo propulsivo del I° episodio all’elegiaca seraficità del VI °, scopriamo una rinforzata sezione dei contrabbassi che mette praticamente il “subwoofer” all’Orchestra del Lirico, la quale via via intaglia la propria cavata salendo dai violoncelli ai violini, fino a toccare la folta schiera dei corni e, poi, di tutti gli ottoni con delle calde sonorità d’avorio. La lettura di Letonja è muscolare, adrenalinica, con arcate di fraseggio perentorie; “tremoli” che paiono furiose folate di vento, “pizzicati” nervosi ed energici, abbacinanti slanci in “accelerando”. Il «Campo di battaglia» è tumultuoso e tellurico come pochi; la «Compagna dell’eroe» ben tratteggiata da Melis che, fra guizzanti acciaccature, glissati, balzati e martellati, vi mette pure del suo. Insomma, nel complesso uno Strauss efficace. Tanto innervato di romantica “Sehnsucht”, quanto Prokofiev di un lirismo più moderno e metropolitano, inframmezzato da sequenze di amaro, alienato sarcasmo. Il compositore russo scrisse il «Concerto n.3» per conquistare il vasto pubblico d’America, facendo leva soprattutto sul virtuosismo delle sue dita d’acciaio e su più afferrabili squarci melodici. Albanese e Letonja scelgono un taglio interpretativo che – al di là delle acrobazie pirotecniche del pianoforte, e del dialogo serrato di quest’ultimo con l’orchestra – pare rimarcare più che altro la texture cangiante e opalescente della strumentazione. Dagli “staccati” acuminati, alle ampie volute di rapidissime semicrome; dai grappoli di accordi come scolpiti nella roccia, alle vaporose sospensioni estatiche, così Albanese, dopo lo Shostakovich di febbraio, ha detto la sua pure su Prokofiev.