Stampace nella toponimia e nella topologia urbane agisce in un orizzonte vasto e denso. Ben prima della visita nel 1263 di Federico Visconti, era un concentrato di funzioni e di memoria come raccontano le tante interpretazioni del toponimo. Una collegata alle grotte è la più accreditata. Vi sarebbero nati l'africana Restituta, alla fine del mondo antico, e Giorgio vescovo di Suelli e delle Barbagie, all'alba dell'anno mille. Lì Efisio fu incarcerato secondo la diffusa mitopoietica. Ad ovest, nel predio Lustrense, l'arcangelo Michele col suo sacello, a ridosso di mura bizantine perdurate nella torre degli Alberti e nel complesso dei Gesuiti, divenne potente custos civitatis, secondo le tradizioni gota e longobarda mischiatesi a Kalari con quella bizantina e con Efis poderosu. Nel luogo, in un altomedioevo tutt'altro che desertificato, papa Leone IV (847-855) impose all'arcivescovo Giovanni di sostituire l'altare dell'eretico Arsenio. Lo scontro tra iconoclastia ed iconodulia vi ha inoltre lasciato tracce dolorose spesso ascritte, per pigrizia, agli arabi che frequentavano i nostri luoghi mentre i cagliaritani, per devozione e difesa, trasformavano il sottosuolo in un dedalico habitat rupestre di chiese e case. Le mura bizantine, malcerte tra il VI ed il VII secolo per Gregorio Magno, frutto del riuso di domus, terme, templi, lasciarono una profonda eco nella geografia del quartiere e di Efisio. Giovanni Francesco Fara, nel Cinquecento, ne fu acuto cantore e traccia una maniera: Stampax occidentem respicit, priscis nudatum moenis. Dopo di lui tutti. Ci è capitata la fortuna di rivederne ampi brani nel lontano 1990. A quando “Monumenti aperti” dei luoghi, necessariamente, occultati? Sarebbe come visitare un museo ad occhi chiusi con il linguaggio tattile e dell'immaginario. E soprattutto senza grancasse!
Maria Antonietta Mongiu