Al Massimo di Cagliari l’allestimento da Svevo, regia di Massimo Scaparro
Protagonista Giuseppe Pambieri: «Il racconto e il personaggio hanno una grande modernità di linguaggio e parlano con lucidità al pubblico dei nostri giorni»
di Roberta Sanna w
CAGLIARI Giuseppe Pambieri, protagonista de “La coscienza di Zeno”, regia di Massimo Scaparro, sino a domenica al Massimo, per il circuito Cedac spiega il successo decretato da un pubblico che rivaluta in scena le pagine del capolavoro di Italo Svevo, e naturalmente dalla modernità di un personaggio complesso come Zeno Cosini. «Con questo personaggio – dice – l’incontro è stato strano. Me lo son trovato addosso. È intrigante, c’è tutto, dal drammatico al comico. Ha molte cose mie, distrazioni, malattie psicosomatiche, come tutti. E tutti viviamo disagi, incapacità a confrontarci con gli altri, timidezze. Tutto insito in Zeno. Però, attraverso la leggerezza e l’ironia, la malattia diventa anche la soluzione». In che modo Zeno è contemporaneo per il pubblico ? «Ognuno sente il disagio di vivere. Questa è la modernità del grande romanzo che ha rivoluzionato il panorama letterario del ‘900, con “Il fu Mattia Pascal”. L’eroe non guarda più verso il mondo ma dentro di sé, per cercare di capire. Il pubblico vede se stesso con difetti e problemi, e vede che in qualche modo si risolve. Alla fine Zeno è meglio del suo rivale che si suicida, e impara ad essere un buon commerciante. In una delle sue frasi emblematiche, dice: “la vita non è né bella né brutta, ma originale”. Osserva la realtà, è affascinato e si modella alla vita che cambia intorno a lui. Così supera i problemi, mentre gli altri sono più fissi nella loro identità, e raggiunge un equilibrio. Sapendo che la malattia è la vita, dice nel monologo finale, dobbiamo farcene una ragione e continuare a vivere. Quindi è un messaggio positivo. Un’ altra analogia con l’oggi è il rapporto con la Borsa e l’economia, anche negli anni Venti c’era la crisi. E Trieste era allora un importante fulcro commerciale della Mitteleuropa». Lei ha recentemente interpretato anche Kean e Giacomo Leopardi. Altre affinità? «Non sono genio e sregolatezza come Kean, sono un uomo che ha vissuto razionalmente la sua vita, con una famiglia unica, importantissima per me. Ma si è affascinati dai contrari, più il personaggio è lontano più è affascinante interpretarlo. Così con Leopardi, c’è molta distanza, ma io ci entro dentro e la gente ascolta un’ora e mezza di lettura che funziona come uno spettacolo. È intrigante».