Ambra Pintore
A nche la processione di Sant'Efisio ha il suo dietro le quinte. Il quadro ottocentesco che evoca la processione dei sardi è solo la conclusione di un lungo iter. Prima di questo incedere ordinato e solenne, uomini e donne, dal sulcis al guilcer, dal marghine alla romangia, attraversando marmilla, barigadu, e barbagie, hanno viaggiato per ore e spesso dormito poco o niente. In questo tentativo rinnovato di coniugare fede e spettacolo, il nostro sguardo è istintivamente rapito dalla bellezza ed eleganza degli abiti della nostra tradizione. Il resto non conta. Non fa parte delle cronache del passato e neanche di quelle odierne. Il gusto cromatico e le fogge che tra fine Ottocento e primi Novecento caratterizzavano la moda isolana sono straordinarie. Ma in quanti conoscono le fatiche di molte donne che si alzano all'alba per raggiungere il capoluogo il primo maggio? Alcuni abiti richiedono una lunghissima e laboriosa vestizione. A cominciare dai copricapo con le loro acconciature. A Bono, nel Goceano, solo per citare un esempio tra i tanti, i preparativi iniziano intorno alle due del mattino. Le ragazze a gruppi vanno a casa di signore esperte che le preparano. È diventata quasi una professione questa; per le serate folk si viene retribuite circa trenta euro a ragazza. Funzionava così anche in passato, magari con un compenso in natura piuttosto che in denaro. La signora Vittorina Bissiri, in foto, ha imparato a 12 anni a fare sos cuccales, e da allora non ha mai smesso, e come lei alcune decine di donne in paese. Ha 91 anni. Quando tornava dalla scuola la madre diceva alle figlie: faghitebos sos cuccales. Era l'apprendistato, ogni giorno un po' di pratica per imparare ad acconciarsi e a vestirsi da sole in attesa del momento in cui avrebbero potuto acquistare il loro primo abito completo: quello che per noi oggi è l'abito tradizionale. Il primo passo era l'acconciatura: raccogliere i capelli in due piccole crocchie sopra le orecchie, sos cuccales, e mettere il fazzoletto in seta incrociando i due lembi sotto il mento e annodandoli poi dietro la nuca. Infine sistemare la nota tiazola, la benda che incornicia il viso passando più volte sotto il mento, sempre in senso orario. Almeno tre quarti d'ora di preparazione, se si è molto esperte. E solo per il copricapo! Non meno laborioso il lavoro che affrontano le donne di Sennori. Loro di fazzoletti ne devono sovrapporre tre più la benda. E ci vuole particolare attenzione per sistemare l'ultimo, su biccu, perché deve essere ben inamidato e tenere la forma a punta che ricorda quella del becco di un uccello. Spesso camicie e fazzoletti inamidati, se vengono manipolati da mani inesperte, si stropicciano e allora bisogna ricominciare tutto da capo: disfare, stirare, inamidare e riacconciare. Ecco perché è meglio prepararsi in paese, in caso di emergenza si ha tutto a disposizione per rimediare. Anche la camicia viene trattata con molta attenzione, deve essere indossata in modo tale da essere valorizzata dal giacchino in velluto dal quale fuoriescono i polsini finemente ricamati. Il bustino completa l'opera avvolgendo il busto femminile con broccati, canutiglie dorate e passamanerie pregiate. Non si lamentino dunque gli uomini di oggi: le donne un tempo si facevano attendere molto di più!