Roberto Cossu
O biettivo “autenticità”, promette il sindaco di Cagliari. Come dire: ce n'è bisogno. Ma forse Zedda non sa che la promessa, quasi come il rito del Santo, si ripete da decenni. Tagliare, asciugare, recuperare: sono i verbi che annunciano puntualmente la sagra di Efisio, affannoso contraltare alla cura della processione che invece vive di gesti immutati e amorosi. Ma quale autenticità, poi? La sagra paga il conto del progresso e persino la devozione si adegua: ieri presidio geloso, nobiltà (o potentato) di una cerchia classista, entità sorda agli sconvolgimenti storici, rigoroso feudo Dc, oggi la Confraternita è ancora esempio di fede e fedeltà, ma spesso crocevia di beghe e (nel caso) commissariamenti.
Eppure, la genuinità - se c'è ancora - è solo lì. Nel rito puro. Piaccia o non piaccia, la sagra è altro. Qualcosa di rutilante e meravigliosamente laico. Già nel secolo scorso Claude Pasquin Valery si entusiasmava: «Curioso e magnifico spettacolo per la ricchezza e la varietà dei costumi, per l'allegria delle danze e per la gioia delle abbondanti cene nell'erba». L'erba non c'è più, sostituita da chioschi odorosi di wurstel e trattorie standard, forse si danza meno, ma il resto è sempre quello. Grande festa di città, che per un giorno richiama le genti dell'Isola, nella speranza di un anticipo d'estate e nella certezza di una Fiera purtroppo sempre più asfittica. Una sorta di Pasquetta multipla.
Chi non è più giovane ricorda il lancio di pane e dolcetti dai carri, per esempio, il momento di gustare cose che avevano idealmente il marchio doc: il contatto con un mondo arcaico vicino eppure lontano, un'occasione unica. E per tutti la sagra era il contatto con la magia dei costumi, catalogo e caleidoscopio dell'Isola. I colori dell'identità, a parte il valore politico del concetto. Ha ragione l'arcivescovo di Cagliari: questa festa è un'icona completa della vita umana. Folclore, storia, cultura, tradizione e religione. Ora va aggiunto “turismo”, bene profano ma molto utile: la sardità da vendere.
Le nozioni sul culto, la narrazione di una storia che comincia all'epoca di Diocleziano, oggi sono note dei depliant distribuiti dai tour operator e fatalmente catturati dalle app. Ma in fondo è così ovunque: anche a Siviglia, per le struggenti celebrazioni pasquali, dove un posto al balcone privato sfida l'Hilton. Prendiamone atto: attorno al cocchio ormai gli attori sono pochi, tutti sono diventati spettatori di quello che potrebbe diventare patrimonio immateriale dell'umanità. Il Comune ci crede, il dossier all'Unesco è partito. Visto che l'obiettivo reale è la scelta di Cagliari come capitale europea della cultura 2019, si spera nel terzo miracolo di Sant'Efisio.