Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Da giornata di riflessione sulla nostra storia al rito Un'occasione (sprecata) per imparare chi siam

Fonte: L'Unione Sarda
29 aprile 2014

DIBATTITO.

 

« S a Die de sa Sardigna l'abbiamo festeggiata, negandola. Nel momento stesso in cui la celebravamo ci siamo occupati di fare mille distinguo sulla data, dicendo che non era significativa per tutti». Bachisio Bandinu è un antropologo che conosce bene i vizi della sua terra e mal sopporta quel male profondo e radicato, irrimediabilmente sardo: il deprezzare. «Siamo noi i primi ad avere un sentimento dispregiativo verso la nostra identità, verso la festa della nazione sarda, e questo non va bene». Poco più che ventenne, la festa de “Sa Die de sa Sardigna”, voluta per ricordare quel giorno di rivolta contro i vicerè piemontesi, ha radici ancora fragili, che pochi hanno nutrito perché si facessero strada nelle nostre coscienze. È come se aprile, il più crudele dei mesi, ci mettesse ogni volta davanti a una storia con la quale abbiamo poca confidenza, della quale non ci sentiamo orgogliosi. «Si poteva e si doveva fare molto di più - incalza Bandinu - partendo dalle scuole, spiegandone il significato profondo. E questo lavoro doveva contagiare il mondo culturale (teatro, cinema, musica). Solo così si poteva trasformare in un momento di appartenenza alla nostra storia».
Dai primi entusiasmi si è inesorabilente scivolati nella ritualità. «Le piazze si sono animate di spettacoli, ed è stato un bel modo di avvicinarsi alla nostra storia non passando subito dai libri, ma mi pare che lo spirito di quei primi anni si sia un po' smarrito». Salvatore Mereu, il regista di “Ballo a tre passi”, intelligente voce della Sardegna in giro per il mondo, non trova nella celebrazione di “Sa Die” una forza capace di raccontarci: «Forse perché abbiamo una storia così tormentata che fatichiamo a riconoscerci anche nel 28 aprile del 1794».
Gian Giacomo Ortu, docente di Storia moderna all'università di Cagliari, il 10 maggio sarà a Milano a festeggiare “Sa Die de Sardigna” in un circolo dei sardi. «Sono gli unici - osserva lo storico - a festeggiarla in modo profondamente sentito, perché per loro ha un significato simbolico. Sarò lì a parlare di Carlo Catteneo, quindi di storia della Sardegna». La scelta non è casuale: «“Sa Die” potrebbe sollecitare una maggiore conoscenza di chi siamo. Basterebbero riflessioni serie nelle scuole e nelle università. C'è invece una deprivazione della conoscenza e la celebrazione di un rito. Un momento di retorica nazionalista che mi trova completamente estraneo». Ortu ricorda ancora, con perplesso stupore, di quella volta che il Consiglio regionale gli chiese di tenere il discorso per “Sa Die”, «ma mi impose di farlo in sardo. Avrei volentieri parlato della nostra storia, ma mi rifiutai».
Di segno marcatamente opposto il pensiero di Matteo Porru , paladino della lingua sarda sempre e comunque. «“Sa Die” dovrebbe essere celebrata solo in sardo, ma i politici, che hanno impedito la costituzione del popolo sardo, vietano ai bambini l'apprendimento della lingua nelle scuole». Insomma, per Porru, il messaggio profondo di una festa come “Sa Die” e la sorte della lingua sarda, di cui si discute da tempo, sono strettamente connesse. Ma c'è di più: «Non ho mai partecipato con entusiasmo a questa giornata: è farisea e falsa. I piemontesi cacciati sono tornati in Sardegna più tronfi di prima, riservandoci beffe e sfruttamento. Francesco Cicito Masala lo sapeva bene, la considerava una farsa».
A Pier Paolo Piludu, anima del Cada Die Teatro, piacerebbe celebrare un giorno di «ribellione reale e duratura. Invece fu solo una cacciata provvisoria del vicerè. Resta l'amara consapevolezza di Cicito Masala che considerava la Sardegna una terra conquistata». Piludu parla con disincanto: «Ci sono belle iniziative teatrali, la compagnia di Bocheteatro porta in scena uno spettacolo tratto da “Sos Sinnos” di Michelangelo Pira. C'è il lavoro del Crogiuolo sulla congiura di Palabanda. Ma manca la sensazione che sia un giorno di riflessione».
Battaglia di Sanluri, 1409: le truppe sarde del regno di Arborea vennero sconfitte dagli aragonesi. «È curioso parlare della giornata dei sardi quando si hanno tra le mani i documenti su quella battaglia». Protagonista della curiosa casualità è Giorgio Murru , archeologo. «Penso che la festa dei sardi sia una cosa straordinaria, anche se non la vorrei legata a un episodio, che per altro tradisce un aspetto di noi sardi, che proprio non apprezzo. Mi piacerebbe - aggiunge - che con “Sa Die” festeggiassimo la nostra grande storia, in tutti i tempi, da nuragici fino ai fanti della Brigata Sassari. Ma per farlo dobbiamo conoscere un po' di più la nostra storia ed esserne orgogliosi».
Caterina Pinna