L'Italia semplice nelle foto di Giuseppe Loy
P are che lui fosse molto bello, ma non gliene importava granché. Anticonformista e alla mano, non aveva cura del proprio aspetto, e poteva capitare che indossasse un paio di calzoni malridotti con un'elegante cravatta scozzese. Di una persona, i dettagli raccontano molto di più che l'insieme. Giuseppe Loy, fratello di Nanny, il regista di “Le cinque giornate di Napoli”, di questo doveva esserne convinto, se, oltre che nella vita, anche nelle sue fotografie preferiva cogliere le “minime situazioni”, i particolari, le note a margine.
La sua stessa passione per la fotografia e la poesia occupava il poco spazio lasciato libero dall'incarico come dirigente presso un'azienda privata. A dirla tutta, era la sua vera inclinazione, ammette Rosetta Loy, sua moglie e una tra le più grandi scrittrice italiane. Poco prima di morire nel 1981, aveva deciso di darle voce in un libro, che avrebbe dovuto essere pubblicato per la Laterza (ma il progetto non si è realizzato), dedicato a “Il mare degli italiani”. Quelle foto però, tra cui alcune dedicate a Stintino, sono ora in mostra alla Libreria di via Sulis, fino al 12 aprile. Assieme a “Questa è la tua lezione”, un'altra collezione di “appunti visivi”, come preferiva definire i suoi ritratti Giuseppe Loy, dedicati agli amici artisti Alberto Burri, Lucio Fontana e Afro Basaldella.
Una settantina d'immagini in tutto, presentate al pubblico il giorno del compleanno di Peppe, il 26 marzo. Gran cerimoniere la moglie Rosetta Loy, l'autrice di “Le strade di polvere”, romanzo pluripremiato e tradotto in svariate lingue. Con Burri, per il cui tramite aveva conosciuto gli altri, Giuseppe condivideva le stesse passioni: il tiro al piattello e la caccia. Il pittore marchigiano era quasi un fascista, Giuseppe un comunista, ma il confronto, all'epoca, non era mai sul piano personale, ma sempre su quello degli ideali. La scrittrice, 83 anni portati con eleganza e carisma, lo ricorda come un uomo appassionato e generoso.
«L'ho conosciuto a sedici anni, durante una festa da ballo in casa, l'ho rivisto che ne avevo compiuto 18 e mi sono perdutamente innamorata di lui, a 24 anni l'ho sposato contro la volontà di mio padre. Non si sono mai piaciuti. La nostra è stata un'unione felice. Io amavo molto le sue foto, soprattutto il reportage sul terremoto di Tarquinia. Era molto impegnato politicamente. Negli anni Sessanta ha fondato un Centro di formazione culturale che si occupava di sovvenzionare le biblioteche dei piccoli centri, alcune di queste erano in Sardegna. Aveva un ricordo quasi mitico della sua infanzia a Cagliari. Era molto legato alla sua famiglia, in particolare a Nanny, anche se non so che cosa pensasse delle sue foto il fratello maggiore.
Giuseppe aveva rispetto per il mio lavoro. Nel cartello che appendevo alla porta della stanza dove mi rifugiavo per scrivere, che ammoniva a non entrare se non per serissime ragioni, lui, in maniera spiritosa, aveva aggiunto: avanti con moderazione».
Era un uomo ironico, e in molte sue immagini (50 mila ne ha catalogate il figlio Angelo, documentarista), emerge il «divertimento che si prova nel fotografare» le realtà minori che alla lunga, possono fornire suggerimenti più precisi, meno legati a mode, più autentici. I suoi ritratti sono spunti per riflessioni, promemoria di visi, oggetti, luoghi, album di famiglia. Interpretano la semplicità del vivere, e come egli stesso ha scritto, sono “ricognizioni rispettose e prudenti” che schivano il richiamo confuso e deviante delle grandi occasioni.
Franca Rita Porcu