Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il forte incompiuto del viceré

Fonte: L'Unione Sarda
24 marzo 2014


LA CITTÀ DIMENTICATA. Doveva resistere all'attacco francese (1793) ma non fu completato

 

Fu armato con pochi cannoni e ospitò i malati del Lazzaretto

 



Quel che spunta dalla vetta è la meta: il forte di Sant'Ignazio. Calamosca e il borgo di Sant'Elia sono giù, sul piano, silenziosi e indifferenti. Ma i resti di quel che il viceré Vincenzo Balbiano sperò (pur riluttante) diventasse nel dicembre 1792 uno degli avamposti per respingere gli imminenti attacchi dell'armata rivoluzionaria francese al comando dell'ammiraglio Truguet, sembrano restituire le voci, gli ordini urlati, il rumore operoso di un cantiere di guerra.
LA VISTA Il fortino di Sant'Ignazio, 94 metri sul livello del mare, è imponente e dimenticato. Respinto l'assalto francese, dopo il fallimento dello sbarco a Quartu e l'incredibile sparatoria notturna ai margini delle saline (l'abbaiare di un cane diede il via alle fucilate in campo transalpino), il fortilizio rimase opera incompiuta e fu presto abbandonato al suo destino. Per visitarlo bisogna inerpicarsi sul colle: giunti a Calamosca ci si dirige verso il faro, poi bisogna salire. La vista che folgorò il maggiore Franco Lorenzo, ingegnere militare piemontese chiamato in tutta fretta dal viceré Balbiano per approntare un minimo di difesa contro l'annunciato attacco della flotta schierata davanti al golfo di Cagliari, non deve essere stata diversa da quella che oggi possono godere un ciclista o un coraggioso arrampicatore che arrivino in vetta al colle: mare, scogli, cielo azzurro.
IL PROGETTO Il maggiore aiutante Franco Lorenzo, vista l'urgenza, pensò in grande: progettò una fortificazione di notevoli dimensioni capace di esibire contro il nemico un'imponente potenza di fuoco. L'idea iniziale prevedeva la costruzione di una struttura centrale a pianta pentagonale, di due torri corazzate e di un fossato lungo il perimetro. Ma i progetti sono una cosa, la realtà un'altra. Quel che pensò e disegnò l'ingegnere sabaudo rimase in gran parte sulla carta.
L'OPERA Gli storici hanno visto le carte risalenti al 1797 e verificato che il fortino non venne completato. Rimase un'opera monca. Il fossato attorno al perimetro dell'opera non fu ultimato e la cisterna rimase nelle intenzioni del capo cantiere. Durante gli scontri e i bombardamenti (un muro di palazzo Boyl a Castello conserva ancora i segni di alcune palle di cannone francesi), i soldati sardi e piemontesi venivano approvvigionati d'acqua e munizioni da San Bartolomeo. L'interno del forte lascia ancora immaginare l'organizzazione della difesa ma è risaputo che degli oltre cinquanta cannoni previsti destinati al presidio ne furono fatti arrivare appena cinque o sei. E di questi soltanto tre o quattro spararono veramente contro la flotta francese.
I FATTI Le giornate di paura tra gennaio e febbraio del 1793 trascorsero in fretta e furono preludio di altre drammatiche vicende che culminarono nella cacciata dei piemontesi e negli omicidi dell'intendente generale Girolamo Pitzolo e del generale delle armi, marchese della Planargia. Fino al 1804 il forte servi a ben poco: l'11 gennaio l'ultima guarnigione che vi era stata destinata recuperò armi e vettovaglie e abbandonò la base. Da quel giorno la “roccaforte” si trasformò in sede staccata del vicino Lazzaretto. Sul colle furono presto destinati malati contagiosi. Nell'ex fortino giunse anche Alberto La Marmora: impegnato all' istituzione del catasto, posizionò un punto geodetico sul tetto della torre.
LE BATTERIE Il fortino tornò al centro degli interessi militari durante la seconda Guerra mondiale: negli anni '40 diventò postazione di un aerofono per l'avvistamento acustico dei bombardieri alleati. Ancora oggi, tra il faro e il fortino, sono visibili le strutture della prima batteria contraerea e antinave installata nell'area cagliaritana e sei piazzuole scavate nella roccia collegate fra loro da camminamenti sotterranei. Resistono al tempo, e agli incursori a caccia di improbabili reperti.
Pietro Picciau