di Gabriele Balloi w
CAGLIARI Decimo rendez-vous, nei giorni scorsi, col calendario concertistico del Lirico. In locandina un solo titolo: la «Missa solemnis» di Beethoven. Titolo unico ma impegnativo. Per gli orchestrali, il coro, le voci soliste. Finanche per il primo violino. E per chi dal podio – in tal caso Aldo Ceccato – doveva guidare un vasto organico attraverso pagina impervia. Risultò impegnativo perfino all’autore, che per un lustro (1819-’23) vi lavorò con solerzia, benché “distratto” da vicende private se non pure da altri componimenti. Dedicatario, un principe d’Asburgo consacrato alla vita ecclesiastica, Rodolfo Giovanni, prima allievo e poi caro amico di Beethoven, in entrambi i casi fonte di sostegno economico. Della partitura, poi, fu impegnativa persino la pubblicazione che, in periodo di forti debiti, costrinse Beethoven a scorrettezze verso alcune case editrici. Impegnativo, dopotutto, può rivelarsi non di meno l’ascolto. L’imponente Messa op.123, che il maestro di Bonn considerò la sua opera più riuscita, rimane infatti composizione di complessa fattura e non esattamente di facile presa. Per questo, gioca ruolo decisivo l’interpretazione. Quella di Ceccato pare improntata a un tentativo di solida magniloquenza. Ma l’orchestra, spesso con la dinamica troppo al di sotto della massa corale, ricava definizioni sonore poco nitide, quasi sortendo l’effetto d’un alone acustico un po’ brumoso. Ceccato ci prova, qua e là, a portare a galla le strutture della grande musica sacra, dal contrappunto palestriniano sino alla fuga bachiana, che Beethoven innestò nel suo idioma preromantico. I risultati però non sono sempre chiarissimi. La linea degli archi stenta ad emergere; gli ottoni hanno qualche incertezza sugli “attacchi”; più incisivi sembrerebbero gli inserti dei legni. Mentre ineccepibile la parte solistica del primo violino Gianmaria Melis. Il coro, approntato da Marco Faelli, è il vero protagonista anche se non perfetto. Impareggiabile nei momenti d’insieme, dove il magma di tutte le voci conflagra con esaltante compattezza; invece, alcuni rischi e difficoltà si avvertono, per esempio, là dove a tenori o a soprani sono assegnate note acute abbastanza “scoperte”. C’è poi un quartetto vocale un po’ sbilanciato nei volumi: le parti centrali, Katja Lytting (contralto) e Alessandro Liberatore (tenore), ambedue di moderata e nobile intensità; il basso Gianluca Buratto che tuona sovente al di sopra degli altri; mentre il soprano, Francesca Scaini, ha timbro argenteo ma voce piccola, tendente a “spingere” nel registro più alto.