regione»il cambio della guardia
di Umberto Aime w
CAGLIARI
Eccoli, vicini vicini, nel parco di Villa Devoto. Francesco Pigliaru entra, Ugo Cappellacci esce. Stavolta hanno vinto i rossi e perso gli azzurri: è il cambio di consegne che qui, come a Palazzo Chigi, chiamano della campanella dorata. È quella scossa ogni volta dal governatore quando dà inizio ai lavori della giunta: non lo fa mai, ma una leggenda istituzionale racconta il contrario. Buonasera, sono le 17, l’incontro fra i presidenti è sullo scalone, tirato a lucido, fra aiuole pettinate e le solite tre bandiere che sventolano secondo protocollo: Europa, Sardegna, Italia, in sequenza. Non è Teano, nessuno sta a cavallo, eppure qualcosa ricorda lo storico incontro. In questi minuti fra un re con la tendenza a essere bizzoso, dai sardi però tirato giù dal trono a metà febbraio, e un rivoluzionario non da sbarco ma di ferrea ed evidente tradizione anglosassone. La stretta di mano è vigorosa, con un doppio sorriso specchiato. C’è molta più cordialità del gelo romano fra Letta e Renzi, poche settimane fa, perché qui ha vinto la democrazia, leggi elezioni, e nessuno può lamentarsi se non di aver preso meno voti dell’altro. Sono arrivati su cavalli diversi: Fiat 500 bianco latte per Cappellacci, da solo: «Cinque anni fa, sono entrato con la mia auto e andrò via allo stesso modo». Toyota Jeep grigio mettalizzato del fidatissimo Filippo Spanu, futuro capo di gabinetto, per Pigliaru, che dal finestrino fa trapelare: «Sono sereno, ma preoccupato per il duro lavoro che ci aspetta. E poi è la seconda volta che ritiro le consegne da Cappellacci e lo faccio ancora da vincitore». La prima risale al 2004 quando i due erano assessori al bilancio: uno della giunta Masala, battuta dal centrosinistra, uno di quella Soru, vittoriosa. Tempi antichi, foto sbiadite, ora c’è solo l’attualità. I due presidenti hanno la stessa altezza, ma vestono in tutt’altro modo: all’italiana, completo blu scuro, lo sconfitto, all’inglese, spezzato e sulle tinte del marrone, il vincitore. In comune, le scarpe, mocassini neri, e gli occhiali: da libero professionista, Cappellacci, da professore universitario, Pigliaru. Parlano fitto sul terrazzo abbellito da una delle pietre musicali del maestro Pinuccio Sciola. C’è un intreccio di saluti anche fra i rispettivi staff: Giorgio Greco, capufficio stampa uscente, e Alessandro Serra, portavoce, sono i primi a farsi avanti con Daniela Sari, che è e sarà l’ufficiale di collegamento fra il nuovo governatore e i media. Le delegazioni entrano in sala giunta e al primo piano lasciano da soli i due presidenti per un incontro privato, durerà dieci minuti e senza scambio di regali, e poi pubblico nel vialone. Pochi minuti prima si sono già incrociati sulla Rete: «In bocca al lupo», ha postato su Facebook chi deve traslocare, «Finalmente si comincia», è stato il cinguettio di risposta. Il duetto da virtuale diventa reale per telecamere e taccuini. Pigliaru dice di aver chiesto subito notizie sui rapporti fra la Regione e il governo sul micidiale Patto di stabilità che soffoca la Sardegna. Cappellacci aggiunge e ricorda: «Trattare con Roma non è mai facile». Ci vorrà una giunta forte, e chi subentra gli fa eco: «L’avremo. La coalizione ha rispettato in pieno i criteri che avevo chiesto: autorevolezza, competenza. Per la presentazione della squadra è solo questione di ore. Preso possesso degli uffici in viale Trento (lo farà oggi), avrete dodici assessori di alto profilo». L’altro di rimando: «Da oggi cambierà il mio ruolo. Sarò all’opposizione e la nostra sarà intransigente, ma pronta a unirsi alla maggioranza nelle grandi sfide sui diritti dei sardi». È facile prevedere che su entrate e trasporti, ad esempio, la battaglia dovrà essere comune anche se poi in Consiglio e nelle piazze accade sempre il contrario. Nei prossimi cinque anni, altro che sorrisi, saranno legnate fra i due schieramenti. Cappellacci fa intravedere che non ha ancora elaborato il lutto della sconfitta: sul finale del siparietto, scuro in volto, si lascia sfuggire un «mi dispiace», e aggiunge subito: «Noi non faremo l’errore del centrosinistra dal 2009 al 2014, che si è seduto troppo spesso in tribuna a tifare per i nemici della Sardegna». Sfogo accettato e compreso da chi non vede l’ora di ritornare al lavoro: «Voglio partire con una squadra forte, a pieno regime», dice Pigliaru, per poi confermare che «a Villa Devoto non verrò, perché come in passato, per me la Regione è solo viale Trento. Lì ho cominciato e lì voglio continuare». L’ultima stretta di mano è più vigorosa della prima e i sorrisi sono ancora più aperti. Sembra quasi che uno, Cappellacci, sia felice per essersi liberato dalla lunga guardia al bidone senza poter toccare (o quasi) nulla. Mentre l’altro, Pigliaru, ricorda la grinta di chi in un attimo è pronto a togliersi la giacca e rimboccarsi le maniche della camicia. Ha ragione lui: «Finalmente si comincia». Pensano lo stesso anche i sardi: «Egregio signor presidente del centrosinistra, noi ora da Lei ci aspettiamo un bel po’ di risultati».