TEATRO
In occasione del venticinquennale dell'Accademia di Belle Arti "Mario Sironi" di Sassari è stata inaugurata la mostra "Young Academy 2014" nella sala Duce di Palazzo Ducale. L'esposizione, col patrocinio dell'assessorato alle Culture del Comune di Sassari, rimarrà aperta fino al 5 aprile ed è uno degli eventi collaterali ai festeggiamenti dell'Accademia sarda, curato da Sisinnio Usai e Federico Soro. All'evento partecipano le cattedre di Pittura 1 e 2, Decorazione e Scultura. I giovani allievi dell'Accademia propongono gli ultimi loro elaborati . La mostra è aperta tutti i giorni ( 10-13; e 16-19 escluso sabato pomeriggio e festivi. Ingresso gratuito).
di Roberta Sanna wCAGLIARI Una scena prospettica inquadrata nel buio, una figura che avanza dal fondo del lungo corridoio difeso come un bunker. Come un cannocchiale che invita alla messa a fuoco. Nell’allestimento dell’Avaro di Molière di Arturo Cirillo (fino domenica al Massimo, lunedì ad Olbia) la scenografia dichiara un’intenzione. L’avvicinamento ai personaggi e al protagonista aggettivato nel titolo innanzitutto. E la scomposizione delle strutture, quella del capolavoro di Molière, meccanismo mosso dall’ossessione di Arpagone, e quella dei legami con i personaggi intorno a lui, figli, servi, pretendenti, usurai e faccendiere. Che come in un “carillon” si muovono e sono mossi da interessi e passioni, legati e “leganti” a turno, nel carosello di manovre e contromanovre. Le cornici concentriche che costituiscono l’ampia e buia corsia ad imbuto, spostandosi da un lato o dall’altro, danno forma agli ambienti di questo ambiente labirintico, disorientando chi vi si muove e inquadrando ogni scena. È un contorno sempre cupo, quasi funereo, anche nei momenti comici, che sottolinea ed evidenzia che, quando si ride, è dentro un mondo oscuro e malato. Governato dall’assillo primario del patriarca, l’amore, concupiscente e sterile, per il denaro. Simbolo cadaverico, se fin dalla prime scene lo si seppellisce nella cassetta bianca, prima gelosamente stretta al petto. Immediata, senza bisogno di attualizzazioni esplicite, l’associazione d’idee con la finanza attuale, del fare i soldi con i soldi e non più con l’economia della produzione. Non una buffa mania senile, dunque, ma nera passione, cupa ma vivificante per l’Arpagone interpretato splendidamente da Cirillo che dal corpo atteggiato a catarrosa vecchiezza trae vigoria inaspettata, balzi bellicosi, gargarismi minacciosi, vocalità stentorea, accenti feroci. Tanto da far intuire che l’avarizia pecuniaria è solo una parte di un’avidità assoluta, nel vuoto affettivo e di relazione, una cupidigia dell’accumulo, certo, ma insieme di controllo, di vampiresca sottrazione di emozioni e sentimenti di chi lo attornia. La scommessa vincente di Cirillo è far percepire sottotraccia l’oscuro sottofondo senza violare la commedia di Molière, grazie ad una recitazione che non lascia mai calare logica, ritmo e colore. Si gode così ogni scena, da quella dell’usura, a quella in cui Arpagone scopre d’essere richiedente dell’amata del figlio Cleante (il bravo Michelangelo Dalisi), alla manipolazione da cui si lascia sottoporre da Frosina, sensale di straordinaria abilità (con pari efficacia di Sabrina Scuccimarra), fino al rinfresco per l’amata Mariana (Antonella Romano) esilarante elenco di tagli di budget con il Mastro Giacomo di Rosario Giglio. Fino al furto con riscatto “libera tutti” della cassetta, di cui è accusato Valerio (Luciano Saltarelli) pretendente, nei panni di venerante maggiordomo, della figlia Elisa (Monica Piseddu). E all’agnizione che rivela, con la sceneggiata muta su fondalino napoletano, che Valerio e Mariana sono figli di Don Anselmo (Salvatore Caruso, completa i ruoli con Giuseppina Cervizzi). Messa a fuoco finale col gruppo intero che guarda Arpagone, con la cassetta aperta sulla faccia, rovesciato a terra come uno scarafaggio. Come a chiedersi: ma noi, cosa faremmo senza di lui?