L'accusa dell'ex sostituto procuratore antimafia, oggi consigliere del Teatro lirico
Mario Marchetti: non condivido la protesta degli avvocati
Il suo nome rimbalzò per mesi dalle facciate del centro: Villasanta Marchetti Pilia: la mente il braccio la spia . Negli anni Settanta la politica divideva il mondo in due macro categorie: fascisti e comunisti. Mario Marchetti era il commissario che dirigeva l'Antiterrorismo, ultimo incarico prima di attraversare via Tuveri per trasferirsi nel palazzo di giustizia. Era il 1977. «A quei tempi scrivevano sui muri polizia fascista . Dopo una perquisizione in via Umbria, nella tana dei fascisti, anche polizia comunista . Se tutti ti attaccano vuol dire che hai colto nel segno».
Ex sostituto procuratore distrettuale antimafia, ha guidato decine di inchieste su droga, sequestri di persona, reati dei colletti bianchi, in primissima linea nello scontro del 1998 nel palazzaccio di piazza Repubblica, quello in cui finì sotto indagine per un uso disinvolto del ruolo e poi suicida il magistrato Luigi Lombardini. Ruvido e franco sino alla brutalità, con quattro ostaggi nelle mani dell'Anonima Marchetti disse a un giornalista: «Il piano antisequestri è una balla, non esiste. Perché vada a regime ci vogliono due ore e a quel punto il sequestrato è già sotto chiave. Chi sostiene il contrario non sa di cosa parla o è in malafede». A settantaquattro anni è stato nominato dal sindaco nel consiglio d'amministrazione del Teatro Lirico: «Devo confessare che non sono un grande amante della Lirica, in questo momento del teatro mi interessa più l'aspetto contabile: non può costare come in passato, c'è un problema da risolvere. Per dieci anni sono stato responsabile del pool per i reati contro la pubblica amministrazione, ho una competenza specifica che mi aiuta».
Cosa pensa di Mauro Meli?
«Non l'ho votato, il sindaco neppure, altri quattro hanno ritenuto che fosse una scelta utile. E siccome la maggioranza decide Meli farà il suo dovere».
Sconfitti da Gualtiero Cualbu.
«Lui più altri tre. Tutti hanno espresso liberamente la propria preferenza».
Ha sgominato la famigerata banda di Is Mirrionis: ancora convinto che il principale lavoro nel quartiere sia lo spaccio?
«Quando me ne occupavo i collaboratori di giustizia mi avevano raccontato che la droga che girava per la città fruttava cinquecento milioni di lire al giorno. Non ci credevo, abbiamo fatto i conti, risulta a verbale».
I Cinque stelle volevano candidarla alla presidenza della Regione.
«È un problema loro, a me non hanno chiesto mai niente. L'ho saputo dal giornale e da amici».
È stato consulente giuridico dell'Idv per settantadue ore...
«...poi ho visto che l'Idv non rispondeva alle mie esigenze».
Imbarazzo a stare vicino a Di Pietro incenerito da un'inchiesta giornalistica?
«No, anche perché complessivamente di lui ho stima. Certe faccende sono state enfatizzate, cose su cui la magistratura aveva già verificato non trovando assolutamente nulla. Non è per Di Pietro che sono andato via».
E per chi?
«Non ricordo».
Solidarizza con la protesta a oltranza degli avvocati?
«La giustizia in questo momento è in una condizione non straordinaria. E l'astensione degli avvocati non aiuta. Uno-due giorni hanno un valore di denuncia, ma non andare in aula sine die che senso ha? Si danneggiano i cittadini, l'effetto è questo».
I magistrati sono l'unica categoria che ha salvato ferie e stipendi.
«Non ho mai fatto tutte le ferie di cui disponevo. Come me tanti colleghi. L'Europa riconosce ai magistrati italiani di avere una produttività elevatissima. Però ogni problema in Italia si riflette sulla magistratura e mi ricollego allo sciopero degli avvocati: una delle ragioni della protesta è l'annunciato pagamento di una somma per ritirare le motivazioni delle sentenze. Il ministro Cancellieri ha scelto quella strada: vuoi l'intervento del giudice, paga. Mi chiedo: davvero si può pensare di continuare a scaricare nelle aule di giustizia ogni genere di problema, anche la guida in stato di ebbrezza?»
Quali sono i problemi della giustizia?
«Un giovane che ruba in una casa si becca tre anni, un consigliere regionale accusato di peculato - che è un furto di soldi della collettività - viene condannato a diciotto mesi. Che rapporto c'è? Il nostro codice penale è del 1930, tutela fortemente la proprietà perché in quell'epoca era fondamentale, e le pene sono stabilite secondo l'ideologia di quasi un secolo fa. Che la giustizia abbia bisogno di una riforma è fuori di dubbio, l'importante è intendersi su quale».
Cagliari è una città corrotta?
«Abbastanza. È diffuso l'utilizzo scorretto del denaro pubblico, che significa favorire l'amico e danneggiare il nemico, i piaceri fatti attraverso i beni pubblici si sprecano. È il fallimento della politica».
Si è rimarginata la ferita del 1998 nella magistratura cagliaritana?
«Ritengo complessivamente di sì. Ci furono visioni e modalità che non tutti condivisero e questo spinse alcuni ad utilizzare la giustizia per altri fini. Ma dopo quegli avvenimenti non ci sono più state frizioni di quella portata».
C'è una tregua?
«No, si è tornati alla normalità».
ppaolini@unionesarda.it