Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

I rischi della “Lobgesang” e la direzione di Cavallaro

Fonte: La Nuova Sardegna
10 marzo 2014

CLASSICA


di Gabriele Balloi wCAGLIARI

Se non esistesse, avremmo forse l’anello mancante fra Cantata barocca e «Ottava» di Mahler. Dopotutto, ridurre la «Seconda» di Mendelssohn al solo tentativo di misurarsi con la «Nona» di Beethoven sarebbe un errore già compiuto, a suo tempo, dai coevi dello stesso Mendelssohn. La Sinfonia-Cantata op.52 è invece qualcosa di più. Penultima a venir realizzata, nonostante il numero di pubblicazione, la Sinfonia n.2 “Lobgesang” (Canto di lode) ha poco in effetti da spartire con l’«Ode an die Freude» (Inno alla gioia), se non l’idioma tedesco o la cornice sinfonico-corale. Certo, è suddivisa anch’essa in tre movimenti – un «Allegro», un «Allegretto» (con ruolo di Scherzo) e un «Adagio» – seguiti poi da ampia pagina canora, ma di articolazione formale ben diversa. Mendelssohn, a differenza del prometeico Beethoven, guarda al futuro ispirandosi al passato, riprende il linguaggio di Haendel e Bach e lo innerva di temperie romantica. Era Angelo Cavallaro nei giorni scorsi ad affrontare la monumentale partitura, ospite per la prima volta nella Stagione del Lirico. E Mendelssohn, va detto, non ha qui l’immediatezza beethoveniana. La “Lobgesang”, col suo denso contrappunto, la torrenziale scrittura di alcuni passaggi, va saputa prendere in maniera tale da evitare ogni rischio (sempre dietro l’angolo) di pesantezza e prolissità). Purtroppo, il direttore pisano non sempre vi riesce appieno. La lettura complessiva, pur con qualche indubbio slancio, risulta all’ascolto vagamente monocorde, con scarsa ricerca di rifiniture. L’Orchestra del Lirico, che ad ogni modo fa bene il suo lavoro, non pare infatti godersi a fondo il discorso musicale. Talvolta, come presi dalla fretta, non si gustano abbastanza taluni dettagli e suonano pesanti certi “attacchi”, specialmente dei fiati. Diversamente il coro, istruito da Marco Faelli, si rivela l’autentica “colonna portante” dell’esecuzione. Incisivo, di poderoso impatto sonoro, con momenti di notevole climax e, soprattutto, buone sottolineature di “soggetti” e “controsoggetti” nelle sezioni fugate. Prima voce solista era Serena Daolio, cui di certo non manca il volume per sovrastare l’orchestra, se non anche la massa corale; ha timbro pieno in tutti i registri, gli acuti ben proiettati, ma talora manca di grazia nel controllo del “vibrato”, quasi da rendere vacillante l’intonazione di alcune note. Più soave e angelico pare piuttosto il secondo soprano, la cagliaritana Rossana Cardia, vocalità forse meno possente ma di ottimo “legato” e un “vibrato” più leggero. Non male, infine, il tenore Jörg Dürmüller, inizialmente dalla timbrica pressoché nasale, si è poi aperto a sonorità più rotonde, con robusti apici di dinamica.