di Gabriele Balloi
CAGLIARI Dopo Jeffrey Tate, ecco un’altra punta di diamante nella Stagione del Teatro Lirico. Una vetta fra le più alte del virtuosismo odierno: Mario Brunello, a cui di certo non dispiacerà la metafora alpina, lui che da anni assapora l’incanto di suonare sulle Dolomiti. Al Comunale, si è esibito venerdì e sabato nel duplice ruolo di direttore e violoncello solista. Un approccio oramai collaudato, e cominciato nel ’94 con la fondazione dell’Orchestra d’Archi Italiana, sempre riscuotendo ampio consenso. Brunello dopotutto è esecutore atipico, non si lascia imbrigliare nei soliti schemi. Confezionando spesso programmi inconsueti, rinnovando le formule della fruizione musicale. Artista dichiaratamente innamorato della natura, degli spazi aperti. Un amore che si direbbe trasposto nel suono della compagine cagliaritana. Perché l’Orchestra del Lirico – da lui guidata senza bacchetta, ma con eloquente gestualità chironomica – ha davvero una cavata strepitosa, una timbrica generale così fresca e rilucente che dà quasi un senso di “en plein air”. Raramente capita di sentire una “Prima Sinfonia” di Schumann così magnetica, che ti ipnotizza per il formidabile lavoro di scavo, le particolareggiate cesellature di fraseggio, gli sbalzi di “dinamica” rapidi e netti come lampi, la cura nel far emergere anche il più piccolo florilegio da un singolo strumento. Ed è un inedito Schumann perfino nel “Concerto per violoncello” dove, in totale sintonia con la scrittura di questa pagina, Brunello rende appieno l’idea schumanniana del solista che subordina l’orchestra al ruolo di sua docile estensione. Qui è sufficiente qualche gesto del capo, per dirigere ed effettuare tutto ciò che è già stato predisposto nelle prove. Supportato dal primo violino di spalla Tania Mazzetti, l’organico orchestrale mantiene sempre una voce sommessa, quasi in sordina, che si accende solo episodicamente a sottolineare o talvolta commentare l’articolato “monologo” del violoncello: tre movimenti senza soluzione di continuità, nei quali Brunello coniuga a una certa muscolarità d’esecuzione alcuni squarci di elegiaca finezza, come nell’incantevole dialettica, durante il “Langsam (Adagio)”, col primo violoncello Emanuele Galanti. Quest’ultimo impegnato in una buona prova anche sul Preludio de “I Masnadieri” di Giuseppe Verdi, in cui al violoncello si affida una parte essenziale, di grande espressività. Pure qua colpisce il colore complessivo dell’orchestra, arioso, solare, di luminosità tagliente. Fra i bis, oltre a una pagina bachiana, Brunello propone una suggestiva trascrizione violoncellistica dell’antico canto armeno “Havun havun” (preghiera di Gregorio di Naek, sec.X).