Ispezioni asfissianti con poteri di sanzione e di chiusura delle attività
«Per questa volta va bene». Nella risposta paternalistica che un imprenditore riceve dopo un'ispezione andata a buon fine (per lui, non per le casse statali), c'è già una promessa: ritorneranno. Più prima che poi: sulle attività in proprio grava una pletora di controlli che ha creato un clima di paura, qualcuno dice perfino di terrore. Come sembra dall'ultima tragedia avvenuta a Napoli, il caso del pizzaiolo suicida dopo un blitz anti lavoro nero con duemila euro di multa, saldo in due giorni.
Sono almeno ventisei gli enti che hanno potere di sanzione e chiusura sulle attività produttive (pubblici esercizi, cantieri, studi professionali). Un numero approssimato per difetto, ricavato in un sondaggio-lampo tra le associazioni. Latita (a parte un vecchio vademecum a uso interno dei commercianti) un censimento ufficiale del mostro burocratico cresciuto a dismisura nelle ultime stagioni.
Un apparato che fagocita denaro: dietro ogni ufficio di ispezione, una minima pratica burocratica, c'è personale pubblico, un bollo e un potere che va difeso, anche se spesso si tratta di doppioni. «L'anno scorso», racconta un navigato ristoratore cagliaritano, «mi sono piombati all'1,30 di notte gli ispettori della Siae. Siae? Qui non c'è mai stata musica, non sentite». La risposta: «Dobbiamo controllare i conti e interrogare i dipendenti». Potevano farlo, ed è finita a urla.
Un esempio-limite, ma ce ne sono di svariati: gli ispettori della Asl che si rincorrono con i carabinieri del Nas, il più lampante. Per non parlare delle incursioni della Capitaneria di porto (controlli sul pesce) e perfino della Forestale nei frigoriferi dei ristoranti. Magari il giorno dopo una visita dei veterinari.
Idem nei cantieri, dove sul fronte scottante e sacrosanto della sicurezza scattano controlli a ripetizione per mano di uffici diversi (Asl, Inail, Inps, vigili del fuoco, carabinieri dello speciale nucleo distaccato all'ispettorato del lavoro, vigili, Arpas). Un'escalation, raccontata con diffuso tono di rabbia, che sta mettendo a dura prova i nervi di professionisti diventati categorie di sorvegliati speciali. «Il livello di pressione è esagerato», spiega Marco Sulis, presidente regionale della Confesercenti». Gli enti sono troppi, dice: ognuno dovendo giustificare il suo operato si inventa i servizi più disparati. «Si poteva capire quarant'anni fa ma ora siamo informati e sappiamo come comportarci. Questa burocrazia così invasiva toglie tempo e denaro in un momento in cui il primo pensiero è quello di tenerci stretti i clienti». Aggiunge Fiorella Bellu, geometra che partecipa per conto del collegio a una commissione interprofessionale anti-burocrazia, «il tempo che possiamo dedicare per la prestazione professionale è esiguo. La maggior parte dobbiamo impiegarlo per adempimenti burocratici e fiscali e una disattenzione può costarci molto cara».
Le medie nazionali dicono che tra scartoffie e verbali, vengono bruciati 34 giorni lavorativi a testa per un costo medio di settemila euro all'anno. Quanto ai tempi di attesa delle risposte da parte degli uffici pubblici, le velleità muoiono nella culla.
In via Garibaldi, centro storico a Cagliari, un negozio è rimasto chiuso per quattro anni, il tempo che il Comune ha impiegato a dire sì a un commerciante subentrante nell'attività. Siccome la finestrella del bagno era di 4 centimetri (dicesi centimetri) più grande di quanto riportato nelle vecchie carte, gli uffici tecnici l'hanno ritenuta abusiva e hanno richiesto un progetto di conformità, corredato di relazione del perito della Regione con relativo iter da tempi biblici. «C'è troppo formalismo», commenta Roberto Bolognese, Confesercenti cagliaritana, «poi non ci si può lamentare se gli imprenditori delocalizzano: vanno via non dove il costo del lavoro è più basso ma dove è più semplice la burocrazia e c'è sicurezza del percorso fiscale». Dove non ti dicono, aggiunge, «per questa volta va bene così».
Antonio Martis