Parla Massimo De Francovich interprete con Luca Zingaretti del testo di Harwood che dopo Sassari arriva a Cagliari
di Walter Porcedda wCAGLIARI L'arte e il potere. Un rapporto sovente difficile che può portare anche a scelte traumatiche. Capitò sotto il nazismo con intellettuali e artisti in fuga dalla dittatura e altri che la sostennero o decisero di restare. Il tema ritorna nello splendido testo di Ronald Harwood che prende spunto da un caso reale, "La torre d'avorio" regia di Luca Zingaretti, in scena con Massimo De Francovich, domenica e lunedì a Sassari e da oggi fino a domenica alle 20,30 al Massimo per il circuito Cedac. Al centro un maggiore americano, Steve Arnold (Zingaretti) incaricato di condurre le indagini all'interno del processo di denazificazione e un grande direttore d'orchestra come Wilhelm Furtwangler (De Francovich) che rimase in Germania fino alla fine del nazismo. Harwood titolò in inglese, il testo originale, "Takin' sides" cioè "Schierarsi". Un verbo che è la parola chiave del caso. Da che parte deve stare un artista e un uomo di cultura durante una dittatura come quella nazista? «Risposta difficile _ risponde De Francovich _ bisogna trovarcisi dentro. Qui si parla di Furtwangler che restò in patria durante la dittatura: non scappò come fecero altri intellettuali e artisti, soprattutto ebrei perseguitati. Il maestro venne assolto in quel processo di denazificazione però su di lui è rimasta un'ombra. D'altra parte il suo fu un gesto infantile e da superuomo. Pensava che rimanendo lì riuscisse a salvare la musica a cui la Germania era molto legata. Da un punto di vista pratico ed etico è stato un fallimento. Se però Furtwangler, che era famosissimo, fosse andato via avrebbe di certo diretto orchestre importanti. Non è rimasto nel suo Paese per fare carriera, insomma. Non ha fatto come Von Karajan che aveva addirittura due tessere del partito nazista. E' rimasto lì per quella idea infantile di attaccamento alla propria patria vedendola semidistrutta dalla guerra. Almeno la musica, si diceva, cerco di salvarla. Certo, quando dirigeva, i teatri erano decorati con le svastiche e il regime si è servito di lui. Come dire "guardate cosa proponiamo". E questo è stato un errore. D'altra parte nella pièce alla fine ciò viene riconosciuto dall'artista. L'ultima sua battuta è "forse sarebbe stato meglio che fossi andato via nel 1934". Uno sbaglio che riconosce dopo essere stato triturato dal maggiore Arnold con gli argomenti anche più volgari. Insomma è difficile dire cosa deve fare un artista in casi del genere. Occorre trovarcisi dentro». Ma chi era Furtwangler? «Il più grande direttore dello scorso secolo. Ma è stato anche un uomo molto colto. I suoi scritti sono di alta levatura. Sull’uomo invece ci sono delle ombre. Sostanzialmente fu un debole e insicuro. E forse questi sono anche i motivi che l'hanno spinto a non andare via dalla Germania». La cultura e l’arte hanno il dovere di schierarsi contro le dittature? «Certo. E questo è stato l'errore di Furtwangler. Ma ciò non toglie nulla alla grandezza del direttore artistico. Abbado nei suoi scritti riconosce che il suo faro fosse lui. D'altra parte accadde un fatto grottesco. Dopo il processo e l'assoluzione fu invitato dall'orchestra di Chicago a dirigere. Ci fu una sollevazione: Toscanini in primis, e tutti i fuoriusciti di Germania e Russia boicottarono a tal punto che l'Orchestra di Chicago ritirò l'invito. Furtwlanger in uno scritto si chiese: “come mai, quando dirigo il festival di Lucerna e invito tutti, a partire da Toscanini vengono. Ma se mi invitano a Chicago gli stessi non vogliono che vada?” Come si vede anche certe posizioni etiche alla fine fanno un po' schifo». Arnold è il vincitore che chiede conto del suo comportamento. «Harwood ha immaginato un perfetto contraltare a questo musicista e uomo di cultura. L'altro è una specie di bestia, detesta la musica. L'hanno scelto perché non fosse influenzato dalla grandezza di Furtwangler. Lo giudica in modo volgare. E lo fa a pezzi. Il maggiore aveva visitato i campi di sterminio dove l'odore della carne umana che bruciava si sentiva a chilometri di distanza. Un fatto che in lui scatenerà un odio giustificato. Ma la commedia alla fine non dà una risposta alla necessità di schierarsi. Dovrà farlo il pubblico».