È il Pil “bruciato” dal 2007 a oggi. Imprese in difficoltà, aumenta la distanza con le regioni più sviluppate dell’Europa
di Alfredo Franchini w
CAGLIARI Bruciare ricchezza. Dal 2007, (data d’inizio della crisi nata dalla bolla dei mutui Subprime in America) a oggi, la Sardegna ha perso due miliardi e 768 milioni del proprio prodotto interno lordo. Gli effetti? Parafrasando una recente teoria economica si può dire che c’è stata una «decrescita infelice»; è diminuito il numero delle imprese attive e quelle che continuano a operare hanno registrato margini reddituali in calo; le esportazioni sono ridotte al minimo, (e sempre condizionate nelle statistiche dall’andamento del petrolio), gli investimenti sono diventate merce rare anche per colpa delle banche. E’ una decrescita infelice perché, se è vero che la crisi sta per finire, il serio rischio è quello di avere una ripresa, quando verrà, senza occupazione. Lo scenario è descritto nell’ultimo Rapporto della Confindustria sul Sud, elaborato con la Srm, studi e ricerche per il Mezzogiorno, con i dati aggiornati a quelli disponibili alla fine del 2013. Al termine del sesto anno consecutivo di crisi, risulta che il Mezzogiorno ha bruciato una fetta significativa della propria ricchezza: 43,7 i miliardi di euro di Pil persi dal 2007 al 2013. Come si può notare dal nostro grafico, la ricchezza della Sardegna è calata di 8,9 punti percentuali nei sei anni di crisi nera e la situazione è diventata gravissima nell’ultimo anno in cui il Pil è sceso di 4,6 punti. Tra le regioni del Sud è la Campania quella che ha contribuito in modo maggiore alla perdita del Mezzogiorno con dieci miliardi in meno rispetto al 2007. Ma si sa che in Campania una parte della ricchezza arriva dal sommerso. Industrie. Una recessione così profonda non poteva non impattare sulla vita delle imprese. L’andamento del numero delle industrie attive nel Sud, in crescita sino al 2008, ha invertito la marcia: 15 mila società in meno rispetto alla data d’inizio della crisi nel Sud. In Sardegna 1.902 in meno nel 2013 rispetto all’anno precedente. Sale il numero delle imprese cancellate dal registro delle Camere di commercio: in Sardegna 840 in meno nel 2012 (rispetto al 2011) e 463 in meno nel 2013. Dal lato dello stato patrimoniale, le imprese tutte hanno registrato un progressivo aumento dei propri debiti nel corso della crisi. Una tendenza in calo nell’ultimo anno ma solo per un motivo: il calo degli investimenti e dell’attivo circolante. Fallimenti. Aumenta il numero dei fallimenti ma in questo caso il maggior numero di chiusure riguarda le regioni settentrionali: 9.307 aziende fallite nel Centro-Nord e 3.156 al Sud. Il record di fallimenti è proprio in Lombardia con 2.826 casi. In Sardegna la procedura fallimentare ha riguardato 242 aziende, (l’1,9% del totale nazionale). Settori. Non è vero che piccolo è bello. Il Check up sul Mezzogiorno, curato tra gli altri da Massimo Sabatini, direttore dell’Area Mezzogiorno di Confindustria, e da Massimo De Andreis, direttore generale della Srm, rivela che sono ancora le grandi aziende ad avere fatturati in crescita. Le piccole arrancano alle prese con mille difficoltà, a cominciare dal rapporto con la burocrazia, ma in Sardegna restano ancora l’asse portante del sistema. Con una grande novità: la costituzione di reti di imprese che, nel caso dell’isola, sta avvenendo nei settori tradizionali, su tutti l’agricoltura. Europa. L’isola resta ancora lontana dai traguardi posti dall’Europa. Il Pil per abitante ne è una dimostrazione. Fatta cento la media Ue l’Italia conta una serie di aree che superano quella soglia: la Provincia autonoma di Bolzano, Val d’Aosta, Lombardia, Emilia, Lazio, Veneto, Friuli, Toscana, Piemonte, Liguria e Marche; la Campania è la regione con l’indice più basso (63,7), la Sardegna si ferma a 77,6. Ma i dati della Confindustria confermano l’esistenza di differenziali regionali molto marcati con valori di ricchezza pro capite prodotta, compresi tra 6.500 e 80.000 euro, rispettivamente una regione della Bulgaria e Inner London nel Regno unito. Da segnalare che tutte le regioni del Sud più l’Umbria hanno un Pil pro capite inferiore alla media europea. Le regioni in coda alla classifica appartengono a Bulgaria e Romania, nazioni che presentano un reddito inferiore alla metà della media europea.