Massimo De Francovich da Sorrentino a Zingaretti
«Ci vuole coraggio ad andare in scena» - “La torre d'avorio” da domani al Massimo di Cagliari
N el film “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino impersona il proprietario di un night-club, ma in questi giorni, a teatro, Massimo De Francovich è il gigante del podio Wilhelm Furtwangler, che ha ispirato Ronald Harwood nella pièce “La torre d'avorio” (titolo originale, “Taking sides”), in programma da domani alle 20.30 a domenica al Massimo di Cagliari per il Cedac.
«È un testo basato su un fatto vero. Furtwangler fu sottoposto a un processo di denazificazione dalle autorità americane, da cui fu poi assolto. Il sospetto di aver collaborato con i nazisti, però, lo accompagnò fino alla morte», spiega l'attore romano, in scena con Luca Zingaretti, interprete e regista, Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci, Francesca Ciocchetti, Caterina Gramaglia.
«È un personaggio complesso, ricco e, per certi versi, anche ingenuo. La commedia esplora i rapporti tra arte e politica. Pur detestando i nazisti, Furtwangler non aveva molta simpatia per gli ebrei. Nel momento della tragedia ne salvò parecchi, e non solo quelli appartenenti alla sua orchestra», aggiunge.
Cosa l'emoziona di più del suo ruolo?
«Quando Zingaretti mi chiamò proponendomi la parte, non immaginava che Furtwangler fosse uno dei miei idoli musicali, di cui possiedo parecchie registrazioni. Ho una grande passione per Carlos Kleiber, anche se lui resta il direttore d'orchestra più grande di tutti i tempi. Abbado lo indicava come un faro».
E cosa invece l'impressiona di questa figura?
«In alcuni filmati dell'epoca lo si vede mentre dirige in sale tappezzate da svastiche. Immagini che turbano l'animo. Allo stesso tempo era capace di gesti molto forti. Alla fine di un concerto, Hitler si alzò e andò a stringergli la mano. Furtwangler tirò fuori dalla tasca sinistra un fazzoletto, e si pulì la mano con cui lo aveva toccato».
Il teatro italiano è in crisi da tanti anni: come se ne esce?
«Con spettacoli coraggiosi come questo. Bisogna puntare su titoli che non siano sempre gli stessi. Purtroppo, una compagnia basa la propria vita sulle tournée, sulle piazze. È chiaro che se ti presenti con un testo di Shakesperare o Pirandello, il pubblico risponde. Se invece proponi un contemporaneo come Harwood, allora devi avere in scena un attore popolare come Zingaretti, altrimenti lo spettacolo non si vende. Un'altra difficoltà, riguarda la debolezza della drammaturgia italiana».
Quali sensazioni ha avuto quando si trovava sul set de “La Grande Bellezza”?
«Più che pensare ad eventuali fortune del film, ho capito subito che mi trovavo davanti a un regista con i controfiocchi. Ho amato profondamente la pellicola quando l'ho vista per intero, come tutti».
Carlo Argiolas