Intervista con Veronica Pivetti, protagonista di “Mortaccia” Stasera il debutto ad Alghero, poi Palau, Olbia e Nuoro
di Roberta Sanna w CAGLIARI
«Affrontare l’ultimo tabù, il personaggio della Morte, in maniera divertente, irriverente e un po’ scandalosa, emozionante». Veronica Pivetti commenta l’insolito ruolo che la vedrà protagonista da oggi al Civico di Alghero (dove inaugurerà la stagione di prosa del Cedac, e poi a Palau, Olbia, Nuoro e Macomer) di “Mortaccia. La vita è meravigliosa”, testo e regia di Giovanna Gra. E racconta che all’inizio doveva essere un monologo in musica. Poi sono arrivati i personaggi di Oreste Valente e Sergio Mancinelli. «È meglio vedere in scena tre pazzi che una sola», commenta. Insomma quasi un azzardo, visto che lei e l’autrice sono anche produttrici. Tra le tante suggestioni c’è dentro anche un po’ di circo, tanti rimandi culturali, da Rocky Horror a Tim Burton e Spoon River. «E poi si ride e si piange, ci si impressiona o scandalizza. E’ un grande sberleffo, se vogliamo. Per dire all’uomo che si dia una regolata perché a volte rischia di essere più cattivo della morte». Il riscontro con il pubblico ha dimostrato che a volte «con una battuta di spirito dici qualcosa di più profondo che se ti prendi troppo sul serio». Una conferma che l’azzardo non era sbagliato. «Quello che ci sta regalando questo spettacolo è un grande scambio emotivo col pubblico. E al pubblico sono sempre molto grata». Fu proprio il pubblico a decretare il suo successo al Festival di Sanremo nel 1998 accanto a Raimondo Vianello ed Eva Herzigova. «Sanremo è un grande spettacolo, sono felice di averlo fatto e lo rifarei di corsa. E’ un grande divertimento e insieme una grande fatica. È pieno di gente, anche non tutta buona. Al ritorno a casa avevo i capelli bianchi, nel senso che mi sono venuti, letteralmente. Ma ho riportato dei risultati ottimi, la gente mi ha molto amato, lì ho cominciato ad allargare il mio pubblico. Avevo già fatto “Viaggi di nozze” con Verdone, ma quella di Sanremo è una platea talmente immensa. Insomma è un’esperienza che ti tempra molto». Poco più di un anno fa è uscito il suo libro “Ho smesso di piangere. La mia odissea per uscire dalla depressione”. Con quali intenti l’ha scritto? «L’intento era quello di abbracciare tutte le persone che soffrono di questa malattia, sempre molto nascosta, segreta. E di cui molta gente si vergogna. Per cui ho pensato che una persona, nota come attrice di commedia, considerata molto allegra, che facesse sapere che ha avuto anni e anni molto bui, fosse una cosa utile. L’ho verificato nelle tante presentazioni del libro. Una legione di persone è venuta a dirmi: meno male che ne ha parlato. Mi faceva piacere far conoscere anche questo pezzo della mia storia, perché di me si vede un aspetto minimo, quello che appare in palcoscenico, in tv. Ma io sono anche altre cose. Una grande verità di quello che io sono è in quel libro». Come donna e come attrice cerca sempre di comunicare qualcosa di sé? «È importante mettere la propria umanità nelle cose che si fanno. Puoi essere bravo o no, tecnicamente perfetto, però per me è imprescindibile: non posso non metterci l’umanità che mi porto appresso, come quando incontro le persone per strada o vado a far la spesa o quando incontro i miei genitori. La mia vita ha una componente emotiva molto forte, è una cosa che non solo non nascondo, ma semmai esalto, esprimo. E che mi rende più facile comunicare con gli altri. Quando mi dicono: “come è simpatica, sembra una di famiglia”… è importante, vuol dire che il messaggio arriva. Non è arrivato solo un ruolo, un personaggio che ha fatto ridere, ma la mia umanità».