Alessio Boni a Cagliari interpreta il tormento umano e l’attrazione verso il divino del grande scultore del Rinascimento
di Daniela Paba
CAGLIARI Nato per il festival “Tones On The Stones”, che prevedeva un allestimento itinerante all'interno di una grotta tra le rocce, “ La Carne del marmo – Incontro con Michelangelo Buonarroti” è approdato al circuito Cedac (prima a Sassari, poi a Carbonia e infine al Massimo di Cagliari) trascinato da un attore entusiasta e amato qual'è Alessio Boni. Nel titolo c'è, intero, il senso dell'opera pensata dal regista Alessio Pizzech come un monologo, costruito sui testi in poesia e in prosa che l'artista fiorentino ha lasciato a corredo della sua opera di scultore, pittore e architetto, che ne ha decretato la fama assoluta. Sulle parole di Michelangelo, sul suo tormento, la sua ira, sul contrasto doloroso tra l'attrazione divina verso il bello e la consapevolezza della sua vanità, si gioca il continuo intervento in scena di due danzatori della Compagnia Imperfect Dancer, Samuele De Luca e Julio Cesar Quintanilla le cui coreografie incarnano la visione drammatica e sublime delle figure michelangiolesche. Ma l'idea della “carne del marmo” – intesa sia come attitudine di Michelangelo a levare dal blocco di pietra i corpi come fossero lì prigionieri, sia come qualità materica e viva delle venature del marmo di cui l'artista era in grado di cogliere ogni movimento interno, ogni dilatazione e assestamento – è affidata alle immagini montate con la tecnica del chroma key da Giacomo Verde e proiettate sullo schermo che in scena occupa lo spazio di un personaggio.
Un incontro irto di asperità quello di Alessio Boni col personaggio: buttato in un angolo come un mendicante, racconta dai Diari e dalle Rime l'arrivo del blocco di marmo, l'idea di metterlo verticale, «perché in verticale si avverte la gravità, come la pioggia o come la luce del sole». «Disegnare come un'osmosi come un atto d'amore», ripete l'attore che alterna la prosa e il verso in un processo di avvicinamento attraverso i temi più cari all'artista: l'amore, il non finito, la bellezza del marmo, la fuga, il tempo, la vecchiaia e la morte. Passaggi di registro assai difficili perché se l'opera di Michelangelo e la sua maniera appaiono oggi attuali e moderni proprio per l'inquietudine che racchiudono, i versi, variamente combinati tra encomio, rime giocose, sonetti d'amore ed elogio della vanità del mondo, appaiono ancorati al tempo e ai debiti verso i poeti più grandi. E siccome tutta la parte finale è un tessuto di versi, Alessio Boni assume su di sé la difficoltà di una lingua remota, resa con voce roca che forse merita un lavoro approfondito sulle possibilità espressive dell'attore e un più attento montaggio dei testi. Nelle musichedi Dario Arcidiacono il contrasto alterna musica elettronica e canto sacro, in un continuo rimando al rumore degli scalpellini che ha accompagnato l'infanzia dell'artista in un paese vicino Arezzo. L'ira funesta di Michelangelo che afferra il martello per rompere la sua creatura, la dimensione mobile della luce e dell'ombra che illuminano la pietra e i muscoli della schiena dei danzatori con la stessa forza espressiva fino alla scena in cui l'attore afferra il seguipersone e illumina i corpi dei ballerini i quali coincidono con le pose delle figure ritratte negli affreschi della Cappella sistina come sculture viventi. La meditazione su “Gli amorosi pensier, già vani e lieti,/ che fien or, s’a duo morte m’avvicino?/D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia”, accompagna il sovrapporsi di parti anatomiche, di visi giovanili del David e del Bacco cui contrasta il dolore del cristo morto della Pietà Rondanini, delle allegorie del tempo, delle prigioni. Il rigore ascetico della vecchiaia di Michelangelo, segnata inevitabilmente dalla Controriforma, conducono al monologo finale verso l'ultima fuga: «Cambiare posto. Sfuggire alle malattie. Cambiare posto per costruire un’altra verità e per morire di un’altra malattia. Anche se all’inizio pensi di saltare un piccolo fiume con i piedi asciutti e ti trovi di fronte l’oceano». E' il viaggio verso i contemporanei, lo stesso che porta nel paese degli scalpellini, al bambino che succhiava latte e polvere di marmo.