La risposta agli scettici che consideravano il suo stile soft inadeguato alla sfida delle urne
CAGLIARI Il grido è «Cappellacci, dacci le chiavi» scandito con forza,nello stile classico degli ultrà. Già sentito alla vittoria di Massimo Zedda. Come dire: poca fantasia al potere. Però la festa è calda, comincia attorno alle diciassette e trenta, all’arrivo sobriamente trionfale di Francesco Pigliaru: braccia alzate con imbarazzo, golf verde d’ordinanza, comodamente attillato, da cui s’intravvede la maglia della salute. L’andatura e i gesti sono british come il tono della voce, che non produce mai acuti: il decibel è controllato. Poi, dopo il bagno di flash, telecamere e cronisti a tratti urlanti che gli chiedono di Renzi, il professore di economia riesce a defilarsi un attimo, guadagnando sobriamente le stanze meno centrali del suo quartier generale, fino a due mesi fa showroom di abbigliamento griffato. Una scelta in aperta contraddizione con lo stile ragionier di Pigliaru, affezionato ai jeans anche leggermente svasati, una taglia sopra, assiduo frequentatore di sobri ristoranti indiani take away. Lontanissimo dal fashion copiaindossa dell’avversario Ugo Cappellacci, sempre fresco di palestra, eletto di recente governatore più elegante d’Italia, titolo perduto proprio ieri causa bocciatura elettorale. I social denigratori, quelli che spaventano l’umanità indifesa su facebook e twitter, sentenziavano che uno così, che non s’incazza mai e non insulta, uno che magari dice pure quello che pensa davvero, avrebbe incassato una sonora bastonata elettorale. E’ dotto, non lo capiscono, si leggeva qua e là. Se la cava malissimo con la limba. A sentirlo, in effetti, con quella erre arrotata che fa un po’ London university, non sembrava il candidato più adatto a confrontarsi coi sardi furibondi che chiedono risposte. I risultati del voto invece, se i numeri hanno senso, dicono che quel messaggio soffice, accademico ma non troppo, è arrivato al cuore politico di trecentomila elettori in aperta crisi di fiducia, al punto da frenare le deriva del Pd per riportare alla vittoria il centrosinistra. Schiacciati nella folla di supporter a gettone, molti si sono domandati come abbia fatto a spuntarla in un momento politico dominato dall’antipolitica. Gli è stato chiesto, seppure implicitamente, da qualche cronista. E lui, stringendosi nel maglioncino verde e nella sottostante maglia della salute, ha ringraziato l’avversario regalando sorrisi sobri. Forse, ma non lo confesserà mai, s’è chiesto pure che cosa ci facesse là in mezzo, al centro di un’attenzione guadagnata senza alzare mai la voce. Con quell’espressione alla Clint Eastwood: cioè senza espressione. Un alieno gentile confuso tra i mostri sacri della politica, calato un attimo a vedere cosa si può fare per ridurre lo spread tra politica regionale e realtà reale. Quando è finito il supplizio delle interviste, ultima fatica dopo un mese di tour elettorale, è stato divertente vedere il professor Pigliaru, l’uomo del prodotto interno lordo e del libero mercato, prendersi l’abbraccio per niente sobrio della folla piovuta in via Bottego nel pomeriggio, davanti alla sua sala stampa divenuta implicitamente trendy, col traffico bloccato perché l’abbraccio ci fosse e potesse proseguire senza il disturbo dei clacson. Uno spettacolo: cori da stadio, applausi scroscianti, lo stato maggiore del Pd e dei partiti alleati che lo circondava amabilmente. Parcheggiato appena più in là, verso viale Bonaria, il carro del vincitore già debordante di passeggeri, pronto per un viaggio verso cinque anni di incognite. (m.l)