Il celebre pianista protagonista di un concerto con luci e ombre al Comunale
di Gabriele Balloi wCAGLIARI
Due universi a confronto: Beethoven e Chopin. Due strutture distinte: la Sonata e il Valzer. Eppure, a guardar bene, qualche denominatore comune si può trovare. Un “fil rouge” che Roberto Cappello rintraccia mercoledì, al Comunale perla Stagione del Lirico. Un programma pianisticamente monumentale. Un’autentica sfida, interpretativa e fisica, che metterebbe a dura prova qualunque virtuoso della tastiera. Impegnativa, perfino all’ascolto. Ma, teoricamente, non dovrebbe costituire impresa troppo ardua, per un pianista “blasonato” come Cappello che negli anni ’70 fece incetta di riconoscimenti. Fra tutti, il primo premio al Concorso Internazionale “Busoni” nel 1976 . Nondimeno, il maestro leccese non sempre è riuscito a tener testa all’erculea fatica. Nella prima parte del recital, una coppia d’importanti pagine beethoveniane: la «Mondschein» (Al chiaro di luna) op.27 n.2, e l’«Appassionata» op.57, due capisaldi della letteratura sonatistica. Bisogna dire che a Cappello non manca certo l’impeto o il carisma dei grandi esecutori. Il suo Beethoven ha verve, tutto lo slancio passionale che gli si deve imprimere. Tuttavia, non lo si può dire “perfetto”. Se buona è la resa del I° movimento nella «Mondschein», per scelta di tempo, declamazione del tema che rintocca limpido sull’ostinato, ipnotico arpeggio d’accompagnamento, meno chiaro e preciso invece è, ad esempio, il terzo, con alcune sbavature nei passaggi più ostici, ma soprattutto la pedalizzazione a tratti eccessiva. Similmente nell’«Appassionata», i risultati sono un po’ discontinui: si alternano fraseggi eroici e trascinanti, ad altri fin troppo precipitati e sbrigativi che perdono talvolta in nitidezza; a delle ottime definizioni di contrasto coloristico, s’affiancano alcune piccole défaillance tecnico-esecutive. Le stesse in qualche punto riscontrate, purtroppo, nell’opulenta silloge dei valzer chopiniani: dalla «Grande Valse brillante op.18» all’“L’adieu” op.69» e così via. Però, indubbio pregio di Cappello è stato quello di farci intravedere, nella sua pur valida lettura, una curiosa consanguineità estetica fra i due autori. In Beethoven, alcuni ripiegamenti rapsodici e intimistici che paiono preconizzare la temperie chopiniana. E in Chopin una premura alla coesione formale, certamente memore della lezione beethoveniana.