Smottamenti e voragini, i residenti costretti a convivere con la paura
Si dichiarano prigionieri politici. «Anzi - avvertono - cittadini comuni ostaggi della politica». E non da una manciata di giorni, di mesi. Da anni. In via Marengo, via Peschiera, via Pastrengo, via Montenotte, via Turbigo e via Castelfidardo, nel cuore di quel rione rinchiuso tra Tuvumannu e piazza D'Armi e dove la memoria rimanda all'Italia delle guerre d'indipendenza, la storia per la conquista dei diritti è una battaglia lunga una vita.
LE DENUNCE Una vertenza che rimanda agli anni Settanta, quando un manipolo di residenti avviò una vertenza giudiziaria contro Italcementi (che in via Is Maglias aveva le sue cave per estrarre il calcare) riuscendo addirittura a vincere. La fabbrica, alla fine, abbandonò il campo rifugiandosi a Samatzai-Nuraminis e il colosso del cemento fu costretto a risarcire anche i danni causati dalle mine (lesioni sui muri perimetrali delle case) ma nel rione il futuro non aveva per nulla le sembianze della rinascita. Nell'estate del 2008 la bomba . «Sia chiaro, annunciata», ricordano alcuni dei residenti che proprio in quell'anno diedero vita al comitato di quartiere per avviare una nuova e più incisiva battaglia «contro il silenzio e le promesse». L'allarme aveva la forma di una grande voragine, una ferita sull'asfalto di via Peschiera capace di ingoiare un'auto in sosta e far crescere la paura. Montare la rabbia nei fantasmi di Tuvumannu, in quelle tante persone che l'avevano detto, che avevano denunciato i pericoli ed erano rimasti inascoltate. Appunto fantasmi di un rione dimenticato.
I TESTIMONI Mario Pusceddu in via Marengo abita dal 1985. «Paura? Diciamo di sì, ci conviviamo». Detta così potrebbe sembrare quasi la normalità. «Macché, qui siamo davvero terrorizzati», avverte. La palazzina in cui trentun anni fa Pusceddu aveva acquistato l'appartamento «ha camminato un bel po'», racconta mentre infila la mano nello spazio inquietante spuntato tra il muro esterno e l'asfalto del marciapiede. «Se ci cade qualcosa, chessò un foglietto, un piccolo oggetto, sparisce nel vuoto». Nella voragine dove studi accurati hanno confermato la presenza, sotto strade e case, di terreno di riporto non compatto che sprofonda verso i venticinque, trentacinque metri. «Così quando piove qui sotto si forma un fiume capace di scavare e incidere sulla stabilità delle nostre case», spiega Patrizia Tramaloni, portavoce e instancabile animatrice del Comitato di quartiere nato per combattere il disastro. «Per chiedere certezze e rispetto dei diritti».
Il sole picchia forte, su questa fetta di Cagliari-alta costretta dalle transenne, tappezzata di cartelli di divieto di sosta e transito che minacciano multe e carro attrezzi. E riscalda, nonostante l'inverno, le strade che non riescono a cancellare i segni del cedimento. Le pezze di cemento e di bitume raccontano i crolli, gli smottamenti.
NEL NEGOZIO Il market di Luciano Pusceddu non è soltanto l'unico negozio del rione. Col tempo è diventato un punto di riferimento dove si raccolgono i pensieri, i racconti del vicinato. Dove si parla e ci si sfoga. «Guardi, abbiano perso la speranza», botta Graziella Sirigu. «Qui ci sono da trent'anni, mio marito è stanco di partecipare a riunioni e incontri. Tutto inutile. Se volessimo anche vendere e decidere di andar via, chi comprerebbe le nostre case? Tutto ha perso di valore». Eppure negli ultimi 20 anni una trentina di famiglie sono state costrette ad andar via. Svendendo gli appartamenti. «Per noi, problemi doppi. Conviviamo con l'emergenza smottamenti e con il quartiere chiuso e transennato subiamo inevitabili perdite economiche», ricorda Luciano Pusceddu. «Prometta di non mettere il mio nome. Le dico solo questo: quando siamo arrivati, qui c'era un quartiere gioiello e c'era un progetto per renderlo sicuro. Oggi ci hanno tolto anche la speranza». La signora che pretende l'anonimato saluta con garbo: «Siamo un rione di anziani, non ci ascolteranno più».
Andrea Piras
L'accordo e i fondi mai assegnati
Il Comitato scrive al presidente Letta
Non ha mai smesso di lottare, scontrandosi col muro di gomma della burocrazia. Alla fine dell'anno scorso, il Comitato spontaneo scrive al presidente del Consiglio, Letta. È la cronistoria di via Peschiera e dintorni.
Nel 2013 il Comune aveva predisposto il Piano delle opere pubbliche e approvato risorse e interventi a concorso dell'Accordo di programma sottoscritto da Regione e ministero dell'Ambiente (6 dicembre 2010). Quest'ultimo, con un primo lotto e una copertura di 2 milioni di euro. Sempre nel 2010 l'allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso comunicava a Comitato di quartiere, Regione e Prefettura (12 marzo) “di voler porre in essere gli interventi strutturali necessari per la messa in sicurezza dell'area di piazza d'Armi-via Peschiera”. Da quel momento l'Ufficio tecnico del Comune inizia a studiare e definire progetti e interventi già sottoposti al commissario straordinario delegato. Dei 2 milioni indicati nell'accordo ministero dell'Ambiente-Regione, la Ras decide di destinare, ma solo per piazza d'Armi, 800 mila euro. L'area di via Peschiera è tagliata fuori. Negli ultimi mesi del 2013, la nuova delibera regionale. Senza la perimetrazione Pai del territorio non è possibile beneficiare delle risorse dell'accordo di programma. Il piano di messa in sicurezza definito urgente e necessario, dunque esente dai percorsi ordinari di approvazione, si dissolve. Come il sottosuolo di via Peschiera. (a. pi.)