Nessun metro quadrato, solo sei sillabe e un numero: piaz-za-De-Ga-spe-ri 2. Non c'è un tetto né un pavimento, una porta, una finestra. È un'assegnazione nominale. Ma è dalla carta che cominciano i diritti. E quel pezzo di carta, firmato dal Comune, che attribuisce una residenza virtuale ai primi 18 rifugiati politici africani, sancisce anche il loro diritto a esistere. Cittadini provvisori, lontani da un luogo amato che per loro attualmente rappresenta un pericolo, per i prossimi cinque anni non potranno essere cacciati né puniti per il solo fatto di non essere al posto giusto. Avranno un indirizzo, una tessera sanitaria, e il loro nome potrà far parte di una graduatoria per la casa, o un lavoro. Un atto virtuale, ma fortemente simbolico, che in un mondo meno traballante, più solidale e più collegato porterebbe (porterà?) con sé risultati concreti. Qui e ora, per quel pugno di somali, etiopi, eritrei scampati alla morte, significa soltanto essere messi alla pari con gli ultimi. Da sottozero a zero è pur sempre un passo avanti, no? E pazienza se da residenti virtuali provvisori continueranno ad avere per tetto il cielo stellato e per letto una panchina, o un angolo di marciapiede nel quale accucciarsi, in attesa del nuovo giorno, aspettando che almeno la temperatura dell'aria indichi un segno + a loro favore.