Tra i ruderi di Villa Aresu e l'ex prigione per minorenni - Viaggio lungo la strada che collega la Sulcitana al porto canale
Ci si arriva per curiosità. O per caso. Quando l'asfalto della Sulcitana si trasforma in grattugia (nel fine tratto Anas , intima un instabile cartello sulla destra) si entra in una landa carica di mistero. È la parte ovest di Giorgino, lembo isolato e staccato dalla parte est che ospita il villaggio pescatori, la Remosa, la chiesetta di Sant'Efisio e la nuova, grande banchina dell'avamporto che sembra voglia opporsi all'invadenza del mare.
A Giorgino (ovest) c'era un'estesa e bella spiaggia, fino agli anni '60 meta di bagnanti. Quel che rimane è una distesa colorata di marrone con strane architetture pietrificate. A seguirle ci si perde. Neppure le lente e rassegnate onde impastate d'alghe e rifiuti riescono a raggiungere e a smuovere il blocco indistinto che ricopre la sabbia.
Un'enorme e lugubre dimora - “Villa Aresu”, dove campeggia un cartello della polisportiva Orca Marina - è sulla sinistra, in direzione delle grandi gru del porto canale. È enorme, cupa e cadente. Dell'antica residenza rimane poco: al posto delle finestre varchi che danno su spazi e pareti spoglie. Chissà se ci abita qualcuno.
I rami rinsecchiti di quattro palme si muovono appena, mossi dalla brezza che giunge dal mare. Anticipano di poco un altro rudere, sulla destra nella strada che prosegue verso la banchina del porto: l'istituto di rieducazione per minorenni. Fino agli anni Sessanta ha ospitato i figli degli emigrati. «La utilizzavano come colonia», dice un signore, sui sessantacinque, dipendente di una ditta di vigilanza. Non è il custode dell'ex prigione per minori: «La nostra ditta assicura la vigilanza 24 ore su 24 per conto della Regione, io vengo di tanto in tanto». Perché non si sa mai. «L'edificio è cadente, se qualcuno dovesse entrare e farsi male, capisce che poi...». Certo, conseguenze sgradevoli.
Sembra di udirli, i sussurri soffocati dei prigionieri. E vederli, gli occhi che di notte accarezzano la luna e le stelle, su in alto nel cielo oltre le sbarre. Il vigilantes è inflessibile: «Non si entra». Perché è un ex carcere? «Costruzione instabile. Pericolosa. E poi dentro non ci sono celle ma stanzoni. Era lì che dormivano i ragazzi». Le pareti non sono prive d'intonaco ma i soffitti sono intaccati dall'umido.
Nessuno bussa alla porta della vecchia prigione. «Qui non passa mai nessuno». Cos'è rimasto da vedere all'interno lo si può immaginare: la vecchia cappella, la camera del prete, l'alloggio del direttore, le cucine. Le dodici finestre sono chiuse con mattoni, forse per impedire l'ingresso ai barboni.
Di fronte all'ex carcere il vecchio capolinea del bus-navetta con il villaggio pescatori, in funzione fino a quando è rimasto il vecchio ponte in ferro di Sa Scafa. Il vigilantes lo ricorda bene: «Quando tra gli anni Settanta e Ottanta hanno costruito il porto canale qui è finito tutto». Chiuso il carcere, interrotto il via vai dei pullman, cessato il traffico. Passa ancora qualche auto diretta al piccolo stabilimento balnere o all'edificio dove ha sede la Protezione civile “Orca Marina”.
Un cancello interrompe la strada: oltre ci sono il porto canale e i suoi traffici di navi e container. Un altro mondo. Lontano e indifferente al piccolo lembo dimenticato di Giorgino ovest.
Pietro Picciau