Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Rubata una valigia ai rifugiati accampati in via Roma

Fonte: L'Unione Sarda
27 gennaio 2014

 

Dentro il trolley c'erano scarpe, vestiti, 180 euro e documenti d'identità

 

Ieri Ali Seyde si è svegliato verso le 8. Con gli occhi chiusi ha allungato un braccio fuori dalla coperta tastando con la mano il granito dei portici di via Roma ma non ha trovato il piccolo trolley che da otto mesi è per lui armadio, cassaforte e casa. A quel punto ha dato l'allarme.
Qualcuno, venerdì notte, ha derubato i 21 giovani migranti etiopi, eritrei e somali accampati da 13 giorni davanti al Municipio di Cagliari. Il bottino, per il ladro, è magro (180 euro in contanti, otto paia di scarpe, due di pantaloni, alcune maglie e due maglioni, più documenti personali), il danno, per il derubato, elevatissimo: ad Ali, 21 anni, eritreo, rimangono solo i vestiti con cui dormiva, il cartone che gli fa da materasso, un cuscino e una coperta. E non ha più il foglio, per lui importantissimo, che la Questura gli ha rilasciato un mese fa. Nel trolley anche oggetti dei suoi compagni di sventura. E di gelo: venerdì notte il termometro è sceso sotto i 10 gradi, e Malako, Daniel e Zenebe hanno i brividi, forse la febbre, e ieri hanno passato la giornata sotto le coperte.
«Sono persone in fuga da un'area dove sono in corso guerre - denuncia Genet Woldu Keflay, dell'associazione “Corno d'Africa” che, insieme al “Presidio di viale Trento”, segue la vicenda - hanno lo status di rifugiati e sono considerati cittadini a tutti gli effetti, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Dormono sotto i portici per chiedere che gli enti locali, Comune o Provincia, come prevede la legge, diano loro alloggio e assistenza».
Mesifin viene dall'Etiopia ed è il solo che capisca e parli un po' d'italiano: è lui che racconta la loro odissea. Fuggiti dall'Africa orientale, hanno fatto cinquemila chilometri per arrivare in Libia, dove si sono imbarcati. Approdati a Lampedusa, la scorsa estate sono stati trasferiti in aereo in Sardegna e hanno passato sei mesi nel centro di prima accoglienza di Elmas. Di tornarci, non vogliono sentir parlare. Vogliono una casa in attesa di capire se e come partire. A sporgere denuncia non sono andati: delle istituzioni non si fidano.
Mesifin racconta che in questi giorni vissuti da clochard sono stati aiutati dalla Caritas per il cibo («Qualcuno di noi va, altri restano qui a fare la guardia») e che «gli italiani» si fermano, lasciano qualche soldo, regalano acqua o sigarette: «Qualcuno piange, altri ci chiedono “che ci fate qui?”» Come fanno per i bisogni fisiologici? Mesifin allarga il braccio indicando piazza Matteotti. E per lavarsi? «Niente lavare da 13 giorni».
Marco Noce