GIOVEDÌ, 18 DICEMBRE 2008
Pagina 1 - Cagliari
Presentato ieri il nuovo sito archeologico. Polemica tra il parroco e il sindaco
Don Cugusi rivendica al quartiere il merito di aver valorizzato tutta l’area
MARIO GIRAU
CAGLIARI. La città gode di un’altra fetta di storia, a Sant’Eulalia. Da ieri appare in tutto il suo splendore uno spaccato della porzione orientale di Karales com’era tra il III e VII secolo dopo Cristo. Il tutto, però, con un po’ di polemica per una targa che non dà alla parrocchia e al quartiere il merito che gli spetta.
Ma non sarà un blitz improvviso, perché don Mario Cugusi, con molta franchezza, l’ha preannunciato al sindaco davanti a tutti: via la targa che nel catino archeologico immortala nei secoli tutti gli artefici del «miracolo di Sant’Eulalia», della prima, seconda e anche terza ora. I principali autori dell’opera ciclopica, che aggiunge una nuova pagina alla storia tre volte millenaria della città, sono la parrocchia e i suoi abitanti di Marina, oltre Sovrintendenza e Università. Lo dicono i fatti e il parroco tiene a rimarcarlo nel giorno dell’inaugurazione del plesso archeologico (avvenuta ieri), il più vasto tra quelli individuati nelle aree urbane sarde. «Lo scavo - dice don Cugusi - è stato realizzato al 90 per cento a carico della parrocchia, che ha pagato gli architetti e sostenuto la gran parte delle spese».
Sindaco «affondato»? Emilio Floris da parrocchiano di sant’Eulalia sorride e non polemizza. «Nel 1990, all’inizio degli scavi, non ero sindaco». Il primo cittadino, invece, rivendica il ruolo di difensore della «follia di don Mario, di un’iniziativa, cui non sono mancati avversari, tessera preziosa nel mosaico della città sempre più proiettata verso la sua dimensione mediterranea».
L’opera degli archeologi ha portato alla luce una strada lastricata, larga 4,20 metri, fiancheggiata da due edifici, uno dei quali conservato, in altezza, per quasi due metri. La testimonianza più spettacolare è il portico colonnato (del IV secolo dopo Cristo) connesso ad opere di canalizzazione delle acque che ha stravolto, con la sua dimensione eccezionale (largo 8 metri e lungo nel tratto posto in luce 25 metri), e la sua collocazione anomala l’impianto urbanistico esistente nella prima età imperiale romana. In quest’area, che si sviluppa tutta sotto la parrocchiale, è possibile leggere il divenire di questa zona proiettata sul porto: il declassamento di questo spazio porticato, il crollo e le poderose opere di interro per rendere possibile una successiva ricostruzione che occupa una parte della strada. Un destino di abbandono ha, infine, interessato tutta la zona quando i cagliaritani, probabilmente per sfuggire alle incursioni arabe, hanno lasciato l’antica area portuale per rifugiarsi a Sant’Igia dove è sorta la città giudicale. Soltanto molti secoli più tardi vi fu una nuova frequentazione del sito, dovuta alla conquista aragonese della città (nel 1326) e alla costruzione della chiesa di Sant’Eulalia che diventò il fulcro attorno al quale si sviluppò il quartiere di Marina (chiamato anche Lapola o Bagnaria) così come lo conosciamo ora.
Sono molti gli artefici di questo dono storico alla città. Innanzitutto il parroco, don Mario Cugusi, cultore della storia sarda, che quando casualmente nell’opera di rifacimento della sacrestia (il 13 gennaio del 1990) è stato rinvenuto un pozzo, ha lasciato che la ricerca archeologica facesse il suo corso fino a trasformare l’intera area della chiesa in un grande cantiere. Un’opera immane resa possibile dal coordinamento scientifico della Sovrintendenza ai Beni Archeologici, curato da Donatella Murru. Dal 1999 altro prezioso contributo: la cattedra di Archeologia cristiana dell’Università di Cagliari con Rossana Martorelli e i suoi allievi, veri e propri scout culturali di questo sito radiografato e studiato in ogni suo aspetto. Il Comune è intervenuto con un finanziamento di 500mila euro per completare le opere di restauro, scavo archeologico e valorizzazione di tutto il complesso ecclesiale. Un cantiere aperto da 18 anni, che ha prodotto 6.500 metri cubi di scavi ed è costato alle casse della parrocchia e alla generosità dei cittadini 2.500.000 euro. Ma ne valeva la pena.