Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Addio, Bandiera rossa

Fonte: L'Unione Sarda
16 dicembre 2013

 

VIA LEOPARDI. Sfratto esecutivo per la sezione Lenin-Berlinguer
 

Dal Pci al Pd: fu la casa di Luigi Pintor e Atzeni
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di Francesco Abate
C'è chi dice che ci arriverà un bel negozio. Chi, invece, che i cinesi sono già pronti. Altri sussurrano che era ovvio che finisse così: i 600 euro d'affitto per quelle serrande in via Leopardi, a un soffio dalle vetrine di via Paoli, erano inadeguati. Mentre si cerca di capire di chi è la responsabilità dello sfratto della storica sezione (prima Pci, poi Pds, infine Pd di San Benedetto), chi il disattento che ha fatto traboccare il vaso di un rapporto che vedeva gli affittuari per tradizione più morosi che paganti, ciò che alla fine conta è che un altro pezzo di storia cittadina va al macero. Anche se questo potrebbe sembrare un angolo anonimo, che guarda piazza Galilei, è un pezzo di storia della città. Questo è stato l'avamposto del dissenso, lo strappo de Il Manifesto di Luigi Pintor, qui ha pensato le sue prime narrazioni lo scrittore Sergio Atzeni e Giuseppe Podda osservò per L'Unità persone e storie. Ma non solo.
CHE GUEVARA O LENIN La ricostruzione del ricordo viaggia attraverso le parole di testimoni illustri. Il primo è Ciccio Macis, classe 1936, avvocato, deputato nell'ottava e nona legislatura, senatore nella decima. «La sezione nacque nell'autunno 1967 e fu subito diatriba sul nome», ricorda, «pochi giorni prima era stato assassinato Che Guevara. In diversi pensarono di intitolare a lui la sede. Altri fecero notare che quel nome era più legato al movimentismo che al Pci. Poi bisognava riflettere e non lasciarsi trasportare dall'emozione del momento. Dopo una lunga discussione si puntò su un personaggio che mise d'accordo tutti». Fu così che in via Leopardi 3 nacque la sezione Lenin.
BOTTE CON I FASCISTI Gli iscritti della prima ora ricordano che quello era un fortino in un quartiere poco di sinistra. Anzi, ricorda l'avvocato Macis, storicamente di destra. «Dionigi Scano nel suo “Forma Karalis” lo bollò come fascista». Infatti, gli episodi di attacchi, fuoco alle porte, sassaiole erano il pane quotidiano. A volte ci si faceva l'abitudine: «Quelli lanciavano le pietre, noi abbassavamo la serranda e si andava avanti con le riunioni come se nulla fosse», ricorda il senatore Macis. Altre si reagiva.
PUGILI E INTELLETTUALI «La Lenin», è Ninni Depau, bancario, presidente del Consiglio comunale, a far memoria, «era considerata per sua natura la sezione intellettuale del Partito comunista in città». Soprattutto agli occhi di ragazzi che, come lui, frequentavano la Velio Spano in via Flumentepido «per sua natura sede operaia». Però per fare a cazzotti con diverse generazioni di fascisti che la presero d'assalto non bastavano solo le menti raffinate. L'avvocato Macis ricorda fra gli iscritti un buon pugile: Mario Oggiano, medio massimo, recentemente scomparso. «Si allenava con Nino Benvenuti, simpatizzante di destra. Quando io e i compagni glielo facemmo notare fra disappunto e ironia lui rispose: Embè, meglio, aicci d'arroppu ». Oggiano combatteva nemici esterni e interni. «Con un solo cazzotto stese, come Bud Spencer, una fila di Indiani Metropolitani. Erano venuti a contestarci durante una Festa de L'Unità». Eppure c'è chi ricorda anche un timido e riflessivo Paolo Zedda (padre del sindaco Massimo) guidare un contrattacco a un raid neofascista: «Ci lasciò tutti di stucco. Lui così mite, così perbene».
PINTOR E IL MANIFESTO Cazzotti e riflessioni. Il marchio di sezione di buoni cervelli sta in una delle preziosità di questo luogo. «Dal venerdì al lunedì arrivava il nostro deputato per il confronto settimanale», spiega Carlo Salis, classe 1949, oggi presidente di Nova Tv. «Si chiamava Luigi Pintor». Carlo era uno studente e con altri compagni (fra cui Vincenzo Tiana e Antonello Cardia) andava alla Lenin per confezionare un giornalino. «Pintor ci coordinava, ci consigliava e ci strigliava. Dava confidenza anche ai sedicenni e pretendeva confidenza. Lo guardavamo quasi a bocca aperta, lui fratello del nostro mito, Giaime». Ed è proprio in via Leopardi che Luigi Pintor partorì quel pensiero che gli costerà la radiazione dal partito: Il Manifesto, giornale dello strappo. Ed è anche qui, in quanto sua sezione, che gli iscritti furono chiamati a votare per l'espulsione. «Ci dividemmo perfettamente in due. Nessuno vinse fra i sì e i no», ricorda Salis. Giornalista di razza, fine intellettuale, Luigi Pintor cercò il suo consenso in città semplicemente chiedendo di abbonarsi al Manifesto. Ricorda l'avvocato Ciccio Macis: «Quando gli dissi di no, mi guardò e mi disse: Ho capito, a te piacciono i carabinieri a cavallo ».
CARDIA E GLI OSPITI ILLUSTRI Luigi Pintor fu costretto ad andar via. Ma giunse alla guida della sezione un altro uomo di grande spessore: Umberto Cardia, anche lui giornalista anche lui parlamentare. «Puntò tutto sul rapporto fra la Sardegna e il mondo», ricorda Carlo Salis. Così in via Leopardi fra gli altri «arrivò Santiago Carrillo, scrittore e segretario del Partito comunista clandestino, nella Spagna di Franco, Pio La Torre che alla Lenin diventò di casa». Il deputato, già sindacalista, fu assassinato nel 1983 dalla mafia. La sua colpa ? Propose il disegno di legge che introduceva nel nostro Paese il reato di associazione mafiosa e il provvedimento di confisca dei patrimoni delle cosche.
L'AEREO CADUTO Ci fu un momento in cui si temette per la vita di Cardia: «Precipitò un aereo diretto a Cuba», ricorda Carlo Salis, «in quell'aereo noi sapevamo che c'era Umberto Cardia. Non esistevano i telefonini, le informazioni viaggiavano più lente. Passammo l'intera notte, fumando sigarette, in attesa di notizie. Solo all'alba si seppe che per fortuna Cardia non aveva preso quel volo».
BERLINGUER Sono mille i nomi della classe dirigente e dell'intellighenzia sarda legati a via Leopardi: da Francesco Cocco a Nuto Pilurzu (che a differenza del con-cognato Macis seguì Pintor), da Sergio Atzeni arrivato lì sulle orme del padre Licio ad Antonio Volpi. «Compreso quello di Enrico Berlinguer a cui la sede fu intitolata con la nascita del Pds», ricorda Paolo Frau, oggi assessore comunale all'Urbanistica. «Fui fra i primi segretari sotto il nuovo nome. A noi si unirono tanti ragazzi: da Marco Pitzalis leader della Pantera a Marco Argiolu, ora segretario particolare del sindaco. Fu il nascere della Sinistra giovanile». Sino ai trentenni del XXI secolo. «Quando vi misi piede avevo 18 anni. Non ero organica , ci passavo le serate con gli amici, il collettivo Maresciallo Tito. Con le mie mani ho cucito le tende rosse degli enormi finestroni», racconta Cinzia Isola, giornalista. «Qui ho conosciuto D'Alema, ma sopratutto tanti amici e compagni. Confesso che ho sempre sognato di portarmi via quel meraviglioso telefono antico attaccato alla parete dello stanzino all'ingresso».
Ecco, questi furono gli uomini di via Leopardi e ce ne furono molti altri. Ognuno, poi, in città ha altri aneddoti, altre storie, altri nomi. Ognuno conserva i suoi ricordi. Tutti alla notizia della disfatta immobiliare serbano un rammarico bestiale.